Quante opere della grande letteratura degli ultimi due secoli possono essere elencati sotto questa rubrica: “eloquenti prese di coscienza dell’irrilevanza dell’uomo in un cosmo cieco e indifferente”, che traggo da un passo di Una roccia per tuffarsi nell’Hudson di Henry Roth? [Trad. M. Papi, Garzanti 1999, p.292]. L’eroe autobiografico della seconda parte del ciclo Alla mercé di una brutale corrente, Ira Stigman, pronuncia tali parole riferendosi all’emozione (positiva per lui) suscitatagli nell’animo dall’incontro con il coraggioso ateismo di Bertrand Russell, ma esse ci appaiono come un’epigrafe conveniente a molta produzione letteraria moderna e contemporanea. Il rude stream del titolo mi sembra potentemente evocatore della più formidabile corrente che ha percorso – e tuttora percorre – la filosofia, la narrativa e la poesia, e più in generale la cultura dell’Occidente: la percezione, l’idea, talora l’incubo, della perdita inevitabile e totale di ogni cosa bella e dotata di valore; il vedere come tutto sfiorisca e cada infine nell’oblio e nel nulla, non compensato dai nuovi nascimenti; l’irrevocabilità che è nello svanire, nel passare di tutto. Percezione tragica del divenire: l’inesorato, l’inesorcizzabile. Rubando una parola a Elias Canetti, ho chiamato questo eminente fenomeno la spina del divenire, conficcata a grandi profondità nelle carni dell’Occidente.

si potrebbe pensare che questa concezione ( sbagliata) abbia origine proprio dalla letteratura, dal suo eccessivo sviluppo, che penso comprenda anche le altre forme di rappresentazione tipo la tv o la rete etc.
il finto piacere che strugge le signorine nel leggere i libri nichilisti , certa maniera richiede l’innalzamento di quest ‘idea pessimista, le vite si sgonfiano la rappresentazione si dilata. in realtà la vita non finisce mai, mentre i i libri per quanto “grandi hanno sempre una fine e c’è anche scritto “euro 19,50