Il desiderio è per se fuori dell’ordinamento naturale. Infatti, è evidente da sempre alla filosofia, e alla saggezza in generale, che nessun oggetto mondano è atto a saziare la brama del desiderante: conseguito l’oggetto dei sogni, il desiderante non ne ricava la felicità sperata, e passa ad un altro oggetto, cui attribuisce una superiore capacità di dargli quella stessa felicità che va cercando. E tuttavia se in luogo del “mondo manifestato” poniamo il “mondo rappresentato” noi ci avviciniamo ad una soluzione (concettuale) del problema del desiderio. La sua infinitudine è infatti nient’altro che un’espressione della in-finitudine dei segni, la cui sfera è estensibile all’infinito per la natura stessa del segno umano, per la sua trascendenza rispetto al mondo-mondano e oggettuale, ove gli oggetti disponibili sono sempre limitati in numero e grandezza. Questo fa sì che sul piano pratico non si avrà mai una soluzione della questione del limite che gli umani dovrebbero porre al desiderio (e al bisogno), come il paradosso di Diogene che spezza anche la sua coppa di coccio, perché per bere basta il cavo della mano, dimostra perfettamente. Inevitabilmente, ciascuno negozierà con le condizioni del proprio tempo, e con se stesso, i termini del suo desiderio e dei suoi confini.

Egli dovrebbe, cioè, “accontentarsi” dei suoi, degli altrui limiti, della finitezza delle cose…
Ma ciò non gli impedirà di mantenere suo malgrado ardente il desiderio, nelle sue proprie occulte sotterraneità: la sua “negoziazione” manterrà comunque un mero carattere formale. Addomesticherà le passioni senza tuttavia liberarsene davvero, se non nella veglia i suoi bisogni gli appariranno nel sogno, opererà in virtù ma a patto di nutrirsi di pane e fichi.
Forse non c’ è affatto via d’ uscita all’ accettazione supina (ma onesta) della fatale natura umana che ci costringerà in eterno ad oscillare tra bisogni che ci appaiono via via sempre più impellenti, rendendoci così fragili ed inquieti, e bisogno di approdo e pace.
D’ altronde, non è forse pure anche la filosofia, DESIDERIO indomabile di sapere e capire?
si, il desiderio è completamente fuori dell’ordinamento naturale.
il desiderio è la burrasca dei sensi, è lo sconvolgimento della ragione, è un filo rosso capace di raggiungere ogni obiettivo che si prefigge, perchè è guidato d un istinto potente (e incontrollabile).
è quando si riesce a controllare, che diventa positivo.
Il desiderio, o piuttosto la “logica del desiderio”, ha davvero un andamento “strano”, piuttosto enigmatico, a volte tragico. Una volta distolto lo sguardo dalle stelle
( “de-sidera ?”), che brillano chiare, quasi frenetiche lassù, ecco che nella savana o il bosco il desiderio si confonde con il bisogno più elementare di cibo e sesso, se non di fuoco per cuocere gli alimenti, scaldarsi, illuminare l’antro o la caverna – sulle cui pareti uno dei membri più “strani” del gruppo, diciamo lo sciamano, ha disegnato figure di uomini e bisonti. Scene di caccia?
E quegli altri strani segni? Chiedetelo allo sciamano… In ogni caso, una volta soddisfatto, il desiderio ritorna, per così dire, in un giro senza fine di travestimenti multipli. E, se represso, si distorce e assume forme quasi irriconoscili ( forse un po’ barocche).
Lo stesso accade per troppa soddisfazione.
Le vicissitudini del desiderio sono molteplici e davvero strane. Che dire, per esempio, di un desiderio che, avendo “perso” il proprio orientamento nel tempo e nello spazio, si dà, per esempio, come desiderio senza oggetto, desiderio di assoluto ?
Forse occorrerebbe chiederlo a qualche disertore ( lo si potrebbe incontrare, immagino, ai margini del bosco o in un deserto a tendere le mani per altro che per prendere).
Forse occorrerebbe un altro desiderio, più alto e più veloce della morte abituale. Ma esiste davvero, in noi, guerrieri & cacciatori, un tale desiderio? Sarebbe come uno spazio di non-morte (quindi accogliente, femminile, un “cuore” anch’esso ferito come il molteplice esistere?). Sarebbe come una festa che si leva dietro il sole, simile alla danza lieve e immacolata dei beati.
Dove non c’è dove, e più niente trascini, spinga o faccia segno – sarebbe un godimento oltre il godimento, le stelle e la savana. Ma altre voci mormorano: non c’è festa senza sangue. E alla fine di questo purgatorio ( cioè ai margini di una lingua che s’interroga sul desiderio, o meglio la “logica del desiderio”), “tornammo a riveder le stelle”, ecc. Insomma, è anche vero che per un approdo sereno e una qualche limpida luce, a qualche paradossale Diogene per bere basterebbe il cavo della mano e un po’ di conoscenza.Temo però che, nella maggior parte dei casi, al genere cosiddetto umano e civilizzato non basterebbe neanche il paradiso. Infatti, a parte qualche tardigrado o kamikaze, oggi quasi più nessuno si beve questa storia, non facile, di Inferno, Purgatorio e Paradiso. Forse la Terra, nonostante o forse anche grazie alla spina del divenire, potrebbe essere più bella e desiderabile del Paradiso. Per crederci, bisognerebbe essere degli evoluzionisti, naturalmente. In ogni caso, è proprio “lassù”, oltre le stelle che non sono stelle, che finalmente non c’è più alcuna bellezza ( che è parola nostalgica) né paradiso ( che è una sola, come direbbero i ragazzi e persino gli angeli), né desiderio ( intanto e ancora: “de-sidera?”). :-)
Penso che il salto tra il desiderio dell’alveo materno di quiete indifferenziata e il desiderio del nulla sia un salto breve.
Il desiderio, variamente consapevole, di quiete indifferenziata pare simile a quella “forza muta” che dall’interno dell’organismo tende verso l’immobilità minerale. L’istinto di conservazione impedisce, provvisoriamente, un corto circuito verso la pulsione di morte. Alla fine ogni organismo muore, osserva Freud, “alla sua maniera”. Ma se questa forza che tende alla morte si mescola al desiderio del nulla, allucinato come qualcosa di assolutamente buono, simile a dio sa cosa, diciamo a un accogliente alveo materno o a un paradiso, può verificarsi una specie di corto circuito, con forti cariche simboliche. Per chi crede davvero, per esempio, nel Paradiso delle Urì, il salto regressivo e allucinato nella placenta-paradiso è breve.
E’ un salto praticato, oggi, da numerosi giovani militanti al seguito di quell’ “ideologia del corto circuito”, che – secondo le osservazioni del professor Iakov Levi – “viene adottata da coloro che, sotto la pressione di un malessere esistenziale, alla base del quale esiste un incontrollabile senso di colpa per le proprie pulsioni vitali, rinunciano alla vita stessa, per non subire lo stress inerente al conflitto tra Eros e pulsione di morte, da questa rappresentato”.
Una lettera del dottor Adel Sadeq, presidente dell’associazione degli psichiatri arabi e capo del dipartimento di psichiatria all’università di Ein Shams al Cairo, mi sembra una perfetta illustrazione dell’ideologia del corto circuito. La lettera – apparsa nel giornale egiziano “Hadith al-Medina”, il 23 aprile 2002 – ci spiega quanto è bello l’altro mondo raggiunto dagli assassini- suicidi che tutto il mondo arabo ammira in quanto martiri del jihad o doveroso sforzo estremo sulla Via di Allah:
“Nell’istante in cui la persona muore da martire ( shaid ) raggiunge la felicità assoluta. Come psichiatra professionista, io dico che il massimo dell’estasi arriva alla fine del conto alla rovescia: dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno. Quando il martire raggiunge l’Uno ed esplode, ha come la sensazione di volare, perché è sicuro di non essere morto. È una transizione verso un altro mondo, più bello. Nessuno in occidente sacrifica la propria vita per la patria. Se la sua patria sta affondando, l’occidentale è il primo a saltare su una barca. Nella nostra cultura è diverso … Questa è l’unica arma araba che c’è e chiunque dice diversamente è un sovversivo”.
La vera novità in questo terribile linguaggio è la mescolanza della religione o metafisica dell’Uno, dai tratti astratti e violenti, e la guerra. Sovversivi sarebbero, paradossalmente , gli europei che amano la vita e vorrebbero essere lasciati in pace. “ L’Europa intera – ha detto René Girard in un’intervista – ha scommesso sulla pace e oggi siamo confrontati a qualcosa d’inaudito, che l’Occidente non aveva mai visto, vale a dire il fatto che dei giovani, numerosi giovani, siano pronti a morire per uccidere coloro che essi considerano i loro nemici, che essi non conoscono, nel più grande azzardo, senza chiedere alcunché”. Come dire: “Viva la Muerte!” Allucinazioni di martirio e di Paradiso riguadagnato, furono già in passato canalizzate in ideologia salvifica. Da un punto di vista psicanalititico, saremmo quindi di fronte a una “ripetizione” ( alla terribile potenza della ripetizione). Da un punto di vista storico, saremmo invece di fronte a una storia sempiterna e che non passa, non pare mai passare: la solita storia dell’orda sadico orale e borderline, con manifeste allucinazioni intrauterine, la cui unica strategia è la distruzione e l’annullamento.
La strategia del martirio-assassinio-suicidio è di origine iraniana. Fu inaugurata dal regime islamico agli inizi degli anni 80, dopo la vittoria della rivoluzione di Khomeini, durante la lunga guerra con l’Irak. L’estatico suicida-assassino o shaid sarebbe “l’unica arma araba”, come scrive il dottor Sadeq, in attesa che l’Iran, pervasa da ideologie apocalittiche, accelleri e realizzi il suo programma di nuclearizzazione per dotarsi della Bomba.
A partire da un diffuso condizionamento percettivo ed emotivo, scarsamente cognitivo, su base religiosa, culturale e familiare, la strage che porterebbe, nel nome dell’Uno, qualche milione di shaid nell’altro mondo ( e noi con loro) sarebbe un salto breve, allucinato come una specie di “trip di Luce e Amore” per riguadagnare il Paradiso.
leggo volentieri di questo argomento del desiderio, perchè in effetti pare un problema irrisolto. ambivalente. anche dal punto di vista cristiano si può pensare il desiderio fondamentalmente buono, perchè è il manifestarsi della sete di Dio, oppure come un drago cattivo che ci divora. non so. comuqnue volevo aggiungere ai commenti, un riferimento a una lettura che facevo ieri sera, dove Florenski parla circa il significato del nome Paolo, ( l’Apostolo), il cui nome originario Saulo avrebbe un etimologia doppia perlomeno incerta, “Colui che desidera” ma anche ” Colui che è desiderato”.
ecco mi fermerei qui ma forse si può dire che il desiderio può essere compreso e accettato solo in quest’ ambito di relazione che gli è proprio. (il desiderio presuppone l’esistenza di altro) Non siamo solo desideranti, ma anche desiderati. per cui il negoziato non avviene solo con se stessi, (nell’abisso degli specchi) ma nell’incontro con la realtà viva
ciao,k.
“Noi desideriamo la morte, voi desiderate la vita”. Così Fathi Hammad, ministro degli esteri di Hamas, ad al-Aqsa Tv di Gaza il 29 febbraio 2008: “I nemici di Allah non sanno che il popolo palestinese ha sviluppato proprie tecniche di morte e di perseguimento della morte. Per il popolo palestinese, la morte è diventata un’ impresa nella quale eccellono le donne, così come tutto il popolo che vive su questa terra. Gli anziani eccellono in questo, così come i mujāhidīn
[ combattenti impegnati nel jihad, lo sforzo anche estremo sulla via del dio Allah] e i bambini. Ecco perché tutti costoro hanno formato scudi umani fatti di donne, bambini, anziani e mujāhidīn, allo scopo di sfidare la macchina del bombardamento sionista. È come se dicessero al nemico sionista: Noi desideriamo la morte, voi desiderate la vita”.
( v. http://www.youtube.com/watch?v=g0wJXf2nt4Y)
Tramite l’educazione alla shahada e il condizionamento psicologico della famiglia e dell’ambiente “culturale” palestinese ( dove, in questi giorni, è maturato l’omicidio da parte dei miliziani salafiti del povero amico dei palestinesi Vittorio Arrigoni, accusato di diffondere “i vizi occidentali”, cioè l’amore per la vita ) , il desiderio di morte, la possente tendenza muta e cieca dell’organismo a ritornare allo stato minerale, viene messo al servizio del suprematismo islamico e del jihad per terrorizzare i vicini.
Questo accade con l’avallo non solo dei mullah ma anche degli intellettuali del mondo arabo-musulmano. Come scrive Fethi Benslama, autore di “La psycanalyse à l’epreuve de l’Islàm” : “ L’occidentalizzazione del mondo, principalmente compiuta, vira al disastro nel mondo arabo perché il sistema dei suoi governanti ha non solo impedito l’accesso dei popoli ai loro beni ma, in più, ha impedito loro l’accesso al linguaggio che rende razionale il reale di questa occidentalizzazione”( “Islam: quelle humiliation?”, Le Monde, 28 nov.2001).
Il jihadismo fa quindi ricorso ai rudimenti della psicologia morale ( umiliazione, risentimento, vendetta, eccetera) per l’abolizione della domanda politica e l’esaltazione, in versione jihadista, della shahāda, ovvero della testimonianza con cui il fedele musulmano dichiara di credere nell’Unico e nella missione profetica di Muhammad per potersi guadagnare il Paradiso ( trasformando la Terra in un Inferno).
D’altra parte, come per una specie di contagio mimetico, non è solo nell’area della civilizzazione dell’Islam che si è aperta una breccia, una cesura dalla quale emerge, al contatto con la modernità, una disperata volontà di distruggere ed autodistruggersi.
“Una cosa che amo molto nell’Islam – scrive per esempio Pietro Citati – è la vastità del suo mondo, assai più esteso di quello ebraico e di quello cristiano. Il Corano parla di due creazioni, quella di Adamo nell’Eden e quella di un mondo stellare dove non esiste colpa, non esiste sesso, non esiste storia, esiste solo una beatitudine infinita. Per ebrei e cristiani il peccato e l’uscita dall’Eden significano l’ingresso nella storia. Il mondo astrale islamico non ha, invece, contatti con quello umano, anche se la tradizione vuole che Maometto vi sia asceso, in sella al suo meraviglioso cavallo, per portarvi la notizia dell’Islam”.
Non sono quindi solo i martiri di Allah che aspirano all’estrema regressione intrauterina. A tale proposito, Iakov Levi nota che : “ l’infatuazione di molti occidentali per l’islam nella sua ultima versione, deriva dunque dalla proposta di annullare tutte le tensioni. Senza più pulsioni sessuali verrebbero dunque a mancare le motivazioni di base per qualsiasi conflitto, esterno e interno”.