La critica a Cartesio e al suo razionalismo comporta secondo Vander una critica a Parmenide (p.69). Debbo dire che leggendo Vander mi convinco sempre più che il termine metafisica viene correntemente utilizzato in accezioni differenti. Con un’analisi attenta forse questo uso incerto potrebbe essere riconosciuto anche all’interno di questo testo. Personalmente, ritengo che ogni anti-metafisica sia sempre una metafisica, e che lo siano anche le concezioni dialettiche e i materialismi, storici o non storici. Del resto, a p. 85 leggiamo che “la politica si fonda su una metafisica del finito, che significa: su una filosofia dialettica”.
La filosofia vichiana, acutamente interpretata da Vander, conduce ad “una fondazione della politica come scienza del conflitto sociale e di potere” (p.93). Tale scienza, è detto a p. 95, concepisce una quarta forma di stato, oltre a monarchia, aristocrazia e democrazia (ma qui Vander non usa quest’ultimo termine per non rischiare confusioni), uno stato in cui i “supremi signori” sono gli uomini “onesti e dabbene”, una vera “aristocrazia naturale”, in una repubblica in cui la guida politica spetta a quelli che, indipendentemente da classe e censo, si distinguono per la loro attitudine e competenza, onestà, ecc. La questione della classe politica e della sua natura e selezione si pone con tutta la sua problematicità.
io seguo la filoosofia vichiana, ciò vuol dire che passo oltre a Cartesio :-)
la metafisica deve integrarsi con la dialettica altrimenti si rischia di ragionare per scomparti…tutto deve essere amalgamato correttamente, anche per un buon uso della politica.
da ciò deriva anche la cosidetta: diplomazia.
Buona domenica Fabio
Penso che la politica avrà sempre a che fare con la “feccia di Romolo”, e proprio perché qui siamo nel campo della relatività non ci sarà mai alcun meccanismo in grado di garantire che il potere vada a quelli che ne sono meritevoli per disinteresse personale e competenza.
Michele M.