Di classe

E’ una questione di immaginario. Del resto, tra la sfera dell’immaginario e quella del concetto non c’è impermeabilità, e questo almeno dai tempi di Parmenide e della sua pianura. Nel mio, ad esempio, Freud e Marx stanno come gli autori delle due più grandi teratogonie del Novecento che ancora non son del tutto spente. E’ una questione di immaginario, quella dei manifesti. In essi si manifesta appunto una parte sostanziale dell’auto-comprensione dei movimenti e dei partiti (o dei loro strati residuali). Confrontare due manifesti stilisticamente disomogenei come l’ultimo del tesseramento neo-comunista e l’antico (ma non tanto) del famoso film di Elio Petri sulla classe operaia può fornire molti argomenti.

Nel manifesto del 1971 è evidente la presenza di una visione umanistica: l’uomo-operaio espresso dal volto di Volontè è contrappunto dialettico alla fiumana operaia, certo massa, ma massa in cui sono ancora discernibili gli esseri umani come interi.

 

Il manifesto di Rifondazione per il tesseramento 2010 appare totalmente all’interno di un immaginario feticista piccolo-borghese. L’intero è stato sostituito dal particolare, e da un particolare connotato di un’aura erotica da sex shop. Naturalmente, si difenderanno dicendo che c’è ironia, provocazione, e tutto l’armamentario pseudo-dialettico dell’intelligenza indebolita. Ma resta il fatto che una scarpa femminile rossa col tacco a stiletto viene posta a icona di nuove e più brillanti sorti politiche.

Suggerisco dunque ai neo-comunisti un’idea per il 2011: un bel vibratore, magari tinto di rosso o di rosa. E sotto lo slogan: Ferrero, facci vibrare!

Un pensiero su “Di classe

  1. “Il mondo stregato e capovolto delle merci”

    Lasciando ad altra occasione il discorso sulla irreversibile trasformazione del Prc in un ‘partito radicale di sinistra’ (ovvero nell’ala massimalista della sinistra liberale), trasformazione, ‘ça va sans dire’, decantata con accenti entusiastici da Marco Pannella ai bei tempi dei suoi idilli con Fausto Bertinotti, Vladimir Luxuria e Massimo Fagioli, e deplorata con severità da chi, come lo scrivente, è impegnato a ricostruire una posizione autenticamente di classe, cioè marxista e comunista, è opportuno, in questa sede, aggiungere qualche considerazione sulla ‘natura oppiacea’, direbbe Gramsci, del processo ideologico a cui il codice propagandistico stigmatizzato da Fabio Brotto va ricondotto.
    Sotto questo profilo, la ipostatizzazione, in chiave ‘fondamentalista’, di caratteristiche contingenti degli individui è non solo il procedimento mistificatorio che spiega tale fenomeno, ma è altresì una peculiarità del modello capitalistico della democrazia liberale. In realtà, il luogo comune, proprio della ‘società del rischio’, secondo il quale l’individuo contemporaneo è in grado di staccarsi dal suo radicamento biologico e può considerare come oggetti di scelta storicamente determinati anche i tratti più ‘naturali’ come l’identità etnica, l’identità sessuale e l’appartenenza religiosa, è del tutto fuorviante. Oggi, ciò a cui si assiste è semmai il processo opposto (che, fra l’altro, è coessenziale ai selvaggi processi di privatizzazione in corso e al ruolo che l’ideologia neoliberista assegna allo Stato): un nuovo tipo di naturalismo, quale è quello che informa il ‘modus operandi’ di una sfera pubblica e di un sistema dei partiti che tendono ad accostarsi sempre di più, per soddisfarle e trarne legittimazione, alle idiosincrasie ‘naturali’ o ‘personali’ dei vari gruppi di individui. Questo è, per l’appunto, il processo che ho definito come ipostatizzazione, ossia entificazione, in chiave ‘fondamentalista’, di caratteristiche contingenti connesse all’identità etnica, religiosa e sessuale.
    Non a caso, se ben si riflette su questo genere di fenomeni, non è difficile comprendere che i conflitti etnico-religiosi e la rivendicazione delle ‘diverse’ identità sessuali costituiscono le forme di lotta che meglio si adattano al capitalismo nell’epoca della cosiddetta ‘globalizzazione’. Alla luce di questa inversione fra il contingente e il sostanziale, fra il soggetto e il predicato, fra le cose e i rapporti sociali, diviene dunque perfettamente intelligibile la logica perversa a cui si riferisce Marx nella descrizione del feticismo della merce allorché, alla fine del primo capitolo del “Capitale”, cita ironicamente l’ammonimento di Dogberry a Seacol: «Essere un uomo di bell’aspetto è un dono delle circostanze, ma saper leggere e scrivere è cosa che ci viene dalla natura!». Oggi, seguendo il nuovo tipo di naturalismo che caratterizza l’ideologia postmoderna, nella cui fattispecie si inscrive il messaggio politico-propagandistico del Prc, si potrebbe dire: essere una ‘donna di classe’ o un imprenditore di successo è un dono di natura, ma avere belle labbra o bei denti è un fatto di cultura.
    Quindi, la vera teratogonia è quella generata dalla forma-merce del capitale (perfettamente individuata da Freud e da Marx, i quali non mèritano di essere considerati ‘autori di teratogonie’ più di quanto un medico che diagnostica e cura il cancro possa essere definito come autore del cancro stesso), laddove il movimento comunista viene coinvolto dal processo teratogònico nel momento stesso in cui, a causa della debolezza teorica, ideologica e culturale che inficia la sua autonomia, si fa sussumere (magari all’insegna di una retorica di carattere autoironico) entro “il mondo stregato e capovolto delle merci”.

    Eros Barone

Scrivi una risposta a Eros Barone Cancella risposta