Filosofia di passione 5

Più si avanza nella lettura del ricco testo di Fornari, più si rinforzano le principali questioni. Fornari vede giustamente in Girard una sottovalutazione del linguaggio e della sua origine, ma anch’egli non lo spiega davvero, esattamente come Girard. Non basta, infatti, affermare che il linguaggio nasca da un movimento traslativo. In realtà, quando parliamo di linguaggio noi pensiamo alla parola, ma prima della parola viene il segno, al cui ambito più vasto la parola appartiene. Il punto focale è il distacco del segno umano dal mondo puramente mondano dei segnali animali, la sua separazione dall’oggetto, la sua emissione in assenza dell’oggetto stesso, la sua trascendentalizzazione. In questo Gans vede bene, e più a fondo.

Pure qui si possono riscontrare i limiti della sua impostazione, perché nella visione girardiana del mito il linguaggio, suo necessario strumento, viene presupposto, non veramente spiegato. Dal momento che non analizza il processo di trasferimento generativo del significato che è proprio del transfert, Girard non vede che lo stratificarsi dell’occultamento vittimario fa parte dello stesso meccanismo traslativo da cui nasce il linguaggio, e in cui trovano forma anche i miti. Questo dimostra che i miti non sono semplicemente delle “storie” con cui le antiche comunità cercavano di spiegare l’inspiegabile; essi sono anche questo, ma sono anzitutto delle manifestazioni del linguaggio divino delle origini, e quindi si pongono in sostanziale continuità con fenomeni quali i suoni divini, le verbigerazioni estatiche, i canti, le preghiere, le formule, gli incantesimi. Un intero universo di fenomeni pre-, proto e para-linguistici viene da Girard ignorato, con una secchezza che si fa insostenibile non appena consideriamo i dati dell’etnologia e della storia delle religioni. Ancora una volta egli deforma e semplifica razionalisticamente (…) (P. 80)

Lo “stratificarsi dell’occultamento vittimario” implica che si sia avuto un inizio del processo di occultamento. Dovuto a che? Perché la vittima non può rimanere palese? Ma perché mai la vittima doveva essere occultata come tale? Perché i gruppi umani originari avrebbero dovuto nascondere che una vittima è una vittima? Si presuppone, sembra, qualcosa di simile ad un senso morale originario. Anche in Girard la cosa è poco convincente. Perché da un lato vi sarebbero gruppi che fingono (nei miti anzitutto) che non vi siano vittime dove invece (per noi) vi sono, e altri, come gli Aztechi, che ne scannano continuamente e apertamente, senza che il sacrificato sia avvertito come vittima in senso proprio. In effetti, perché la vittima sia tale nel nostro senso deve esistere la percezione dell’innocenza, e la corrispondente della colpevolezza. Le situazioni mi sembrano troppo diversificate per poter rientrare tutte in una “teoria unificata dei miti e dei riti” come vorrebbe Fornari.

Il procedimento che io ritengo corretto, proprio facendo tesoro del contributo gírardíano e sviluppandolo oltre le formulazioni del suo scopritore, è quello che io chiamo metodo unificato dei riti e dei miti, un metodo che compone e confronta tutte le varianti possibili di una famiglia di miti e di riti corrispondenti: così facendo si può ottenere un insieme simbolico e storico che ci restituisce un’intera evoluzione rituale con le versioni mitiche corrispondenti. (pp. 90 -91)

In verità, quando noi diciamo “vittima” pensiamo a qualcosa di immensamente differente da quello che pensava un sacerdote azteco, ma anche un sacerdote romano, ma anche un sacerdote ebreo. Mi sembra rivelatore un passo apparentemente marginale a p. 106, là dove Fornari ricorre ad una similitudine: “Come per certi animali, condannati dalla loro natura e dalle nostre diete sacrificali ad essere accuratamente sfruttati in ogni parte del loro corpo …” . Qui evidentemente, alludendo al maiale, egli sostiene che le nostre diete attuali sono sacrificali. Forse egli pensa ad un essere umano per natura vegetariano, e portato al consumo di carne dalla pratica del sacrificio. Io invece ritengo che prima di tutto sia venuta la caccia, e che prima della vittima sia esistita la preda. Mi pare assai più logico pensare anche che l’allevamento sia derivato dal mantenimento temporaneo in vita di animali intrappolati, ecc.

A partire dal capitolo V, intitolato La chiave della scienza, nel testo di Fornari l’elemento teologico, che richiede la fede, diviene predominante. Il problema (già avvertito da Girard, che appunto cerca, come Fornari ripetutamente rileva, di schivarlo perché la sua teoria non sia etichettata come puramente cristiana e rivolta ai cristiani) è che coloro che non condividono la fede cristiana non accetteranno né la centralità rivelativa dell’evento della Passione di Cristo come è narrata nei Vangeli canonici, né l’idea che la desacralizzazione dell’Occidente sia un portato dei Cristianesimo e non delle forze che vi si sono opposte.

Anche se il cristianesimo storico in qualche misura ha coperto la pienezza della rivelazione evangelica, la demitizzazione radicale annunciata e testimoniata da Cristo ha continuato ad essere presente e attiva, ed è arrivata oggi, dopo aver esercitato un influsso determinante sulla civiltà occidentale, a interagire con tutte le civiltà, rivelando gradatamente e in silenzio la sua natura di avvenimento centrale nella storia dell’uomo, di tutti gli uomini. Dall’evento della Passione di Cristo prende le mosse una nuova traslazione di significato, che trasforma le azioni e le istituzioni dell’uomo, persino la sua vecchia violenza, in strumento di rivelazione della verità che noi non vediamo, ma nel cui cerchio siamo tenuti a muoverci, perché è il cerchio che definisce la nostra storia, la nostra natura.
La storia occidentale ed umana è governata segretamente dalla desacralizzazione evangelica. È questa desacralizzazione ad aver provocato una graduale caduta dei tabù che limitavano la conoscenza e l’azione, contribuendo così all’affermarsi della concezione scientifica moderna e della rivoluzione industriale. Grazie a questo affrancamento dagli antichi vincoli del sacrificio, l’uomo ha espresso sempre più apertamente le potenzialità creative e distruttive del suo mimetismo, determinando nel bene e nel male i caratteri dell’epoca moderna. Dall’Occidente cristianizzato (non necessariamente “cristiano”) questa nuova mentalità libera e spregiudicata si è diffusa in tutto il pianeta, e ha influenzato e modificato profondamente tutte le culture mondiali. Si assiste al fenomeno senza precedenti di società ormai in una certa misura coscienti dell’esistenza di vittime, in quanto capaci di demistificare, almeno in parte, i meccanismi mitologici e rituali che conducono ad esse. Sembrerebbe trattarsi di un movimento a valanga che nulla o nessuno riesce a fermare.
(p. 99)

Tanto più ora, in un momento in cui mi appare del tutto dubbio che l’ateismo radicale sia promotore di violenza più di quanto lo sia una fede conclamata, e certo che l’essere credenti, come è sempre stato, non renda immuni né dalla violenza né dal peccato, io credo che vada alimentata una prospettiva di dubbio e di ricerca radicalmente aperta, una ricerca che non sappia già da sempre dove debba andare a parare. (5 – continua)

Lascia un commento