Nel febbraio del 2006 lessi Caos calmo di Veronesi. Un romanzo che non mi piacque affatto, e di cui oggi si riparla perché sta per uscire il film con Nanni Moretti e con lo stesso titolo. Un film che è stato finanziato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (1.500.000 Euro). Dunque, sostanzialmente, un film di regime. Nanni Moretti è infatti un regista-attore di regime. Quale regime? Ce n’è uno solo, di cui l’affermantesi Destra e l’affermantesi Sinistra sono due lati. In un regime, il valore di un’artista è dato per acquisito una volta per sempre. Noi siamo il Paese del Grande Regista Gillo Pontecorvo (di cui ricordo Battaglia di Algeri e Queimada, e basta). L’artista da noi diventa icona: Benigni è un’icona, Moretti è un’icona. Le icone vengono venerate o spezzate, non discusse.
Il battage pubblicitario del film è una delle cose più disgustose della vita culturale italiana degli ultimi anni. Tutto punta a richiamare l’attenzione sull’aspetto “sessuale” (in verità nel libro marginale e del tutto inutile rispetto al senso – si fa per dire – della storia). In tutti i media la foto è quella della scena di sesso tra Moretti e Isabella Ferrari. Ovvio, c’era da aspettarselo. La legge del marketing e della sovvenzione statale: questa in Italia unifica la Destra e la Sinistra. E diranno anche che è roba trasgressiva. Nausea.
Su Caos calmo scrissi una nota che mi ha fatto ricevere mail indignate di ammiratori sfegatati di Veronesi. Incredibile, ma ce ne sono. Eccola.
Un romanzo le cui proporzioni non corrispondono al valore è senz’altro Caos calmo di Sandro Veronesi (Bompiani, Milano 2005). Quattrocento pagine lungo le quali si dipana una non-storia, per i personaggi della quale è impossibile alcuna forma di simpatia o di avversione, e che non convincono assolutamente. L’unico interesse potrebbe essere documentario. Il romanzo documenta in effetti una condizione in cui versa la maggioranza degli scrittori italiani di oggi. Non hanno nulla da raccontare, ma raccontano lo stesso.
Gli eventi sono quasi nulli, ci sono un sacco di inutili conversazioni. All’inizio l’unico fatto: il protagonista (il solito io narrante della narrativa italiana contemporanea) in vacanza al mare salva una donna che rischia di affogare, e di far affogare anche lui il salvatore, la porta a riva a colpi di reni sul di lei posteriore, col risultato di una terribile erezione (!), sulla quale l’autore insiste molto, e che già possiamo intuire sarà replicata eodem more in un successivo fugace e brutale rapporto sessuale con la stessa salvata. Tornato a casa, il protagonista scopre che la sua compagna, con cui vive da molti anni e che sta per sposare, è morta improvvisamente per un aneurisma. Torna quindi in città con la figlia. È settembre, la bambina inizia la scuola e lui, manager, ogni mattina rimane nella sua automobile per tutto il tempo che la bimba sta a scuola, parcheggiato vicino, sì da poterla scorgere ogni tanto alla finestra. Lì lo vanno a visitare colleghi e super-manager, il fratello stilista, la cognata bellissima regolarmente messa incinta e poi lasciata da ogni uomo con cui ha una relazione (ma dove è andato Veronesi a pescare una situazione così bislacca, una ragazza bellissima e intelligente che si fa mettere incinta per tre volte da tre uomini diversi che la mollano subito, e si tiene i tre bambini!) ecc. Lavoricchia stando in macchina. E si meraviglia di non provare alcun dolore per la morte della donna amata. Si aspetta che il dolore arrivi, e quello non arriva mai. La domanda più radicale che si pone è a pagina 333: “Perché continuo ad arraparmi invece di soffrire?” Qui c’è l’essenza di questo romanzo, la sua cifra stilistica, la sua profondità. Che razza di personaggio! Anche il lettore si aspetta che la storia decolli, ma rimane impantanata. Considerazione finale: la bambina risulta più matura del padre quarantatreenne. Non accade quasi nulla. E lo scavo nell’interiorità del personaggio non c’è proprio. Non c’è alcuna interiorità. Invero, il caos calmo del titolo, che mi aveva attirato all’acquisto e alla lettura, e che nell’intento dell’autore è quello dell’infanzia e di ciò che le ruota intorno, ma poi dovrebbe estendersi ad una comprensione della cifra fondamentale della nostra epoca, non rimane in realtà solo una faccenda interna al libro stesso. Coinvolge purtroppo anche il lettore. Questi resta in effetti calmo, calmissimo, nel senso che il libro non lo commuove, né semplicemente lo muove. Non che la storia sia in sé caotica, no, procede lineare, senza librarsi mai. E lo stile… grigio. Non una frase che venga voglia di sottolineare, non un’espressione che faccia godere. Nulla da citare. Una marea di parole, un caos calmo e placido. L’autore dichiara di aver lavorato quattro anni e mezzo, e ringrazia una valanga di persone (quaranta, o giù di lì). Questa mania dei ringraziamenti in chiusa dei romanzi. Se sapessi scrivere un romanzo, e me lo pubblicassero, farei stampare qualcosa come: questo libro l’ho scritto io, e non ringrazio nessuno.
Grazie per avermi linkato! E complimenti per il post.
Carlo Gambescia
convengo che quell’erezione prolungata per non so quante pagine non ci azzeccava niente nè con la storia e neppure col salvataggio, è una cosa che non sta nè in cielo e nè in terra.
In tutta la faccenda di “Caos calmo” ci sono parecchie cose che non stanno né in cielo né in terra…
:-)
ciao!
Da quanto racconta Fabio, delle tante parole per descrivere il vuoto di contenuto, comprendo che la scelta di Moretti, come protagonista del caos calmo, era quasi obbligata.
L’ha ribloggato su Brotturee ha commentato:
Vecchia nota, sempre buona.