L’Isola che non c’è esiste, è qui fra noi, è l’Italia di oggi, è l’Occidente di oggi. È il luogo dove l’adolescenza non esiste più in senso classico, come passaggio tra l’infanzia e l’età adulta, ma si offre come condizione permanente e intrascendibile.
Ovviamente, il luogo in cui avviene la consacrazione di questo fenomeno è la televisione, ove il trionfo dei reality show, che presentano giovani adulti che bamboleggiano, segna l’avvento di una nuova condizione umana, quella del differimento sine die della maturità. Inutile stracciarsi le vesti, occorre invece comprendere perché ciò avvenga (e significhi, tra le altre cose, che il lavoro degli insegnanti nella scuola come educatori è un paradosso insostenibile). Ciò avviene a seguito di una grande rivoluzione nella natura del desiderio, di quel desiderio la cui gestione è il collante fondamentale di tutti i gruppi umani, grandi o piccoli che siano.
Il desiderio tende per natura alla propria soddisfazione (che non lo esaurisce mai, sicché esso passa senza fine di oggetto in oggetto), tende quindi al consumo, non alla produzione. La nostra società è una società del consumo, cioè della soddisfazione dei desideri, ovvero genera continuamente desideri particolari, che non sono altro che manifestazioni contingenti del desiderio in sé. Se non c’è desiderio non c’è consumo, ma se non c’è la possibilità di consumare non ci sono desideri, come dimostra lo studio antropologico delle società tradizionali. La possibilità di consumare è determinata dal lavoro, che produce gli oggetti. Ma il lavoro, che produce gli oggetti e sostiene la circolazione del medium della loro acquisizione, ovvero del denaro, non è di per sé gratificante, poiché anche differisce il godimento degli oggetti del desiderio.
Nella nostra società il bambino è colui che non ha bisogno del proprio lavoro per soddisfare il proprio desiderio. Perciò e soltanto perciò la condizione del bambino potrebbe apparire sostanzialmente la più desiderabile, ed è anche per questo che il lavoro infantile che altre società permettono ci appare così scandaloso. Ma la condizione del bambino presenta agli occhi degli occidentali contemporanei un limite essenziale: il bambino è escluso per natura dalla sfera dell’eros. Quindi è escluso da quello che costituisce per gli occidentali moderni il massimo della desiderabilità: l’attività sessuale. La quale invece è consentita agli adolescenti. Ne consegue che sono costoro oggi a rappresentare la fase più desiderabile della vita umana. Privi di responsabilità e obblighi di lavoro, finanziati dalle famiglie (in Italia sono per lo più anche figli unici), giovani e belli e in grado di fare all’amore: sono il modello di tutti. Ecco quindi che l’adolescenza viene prolungata il più possibile, ogni segno di maturità viene cancellato (dalla chirurgia, se occorre), gli ignoranti abominevoli “ragazzi” del Grande Fratello si pongono come oggetto collettivo di desiderio e come modelli. Aggiungendosi ai Totti, con questo merito in più: che per svolgere la loro funzione non è richiesto il possesso di alcuna qualità, anzi: essi debbono soddisfare l’esigenza della massa dei consumatori di potersi proiettare in persone che, nonostante il proprio essere prive di qualità, raggiungono la notorietà televisiva, quindi il successo. Poiché successo significa aver raggiunto una posizione desiderabile, e, in particolare, una condizione in cui i propri desideri siano soddisfatti immediatamente.
La scuola in sé, essendo un percorso di anni e anni, rappresenta il differimento della soddisfazione del desiderio, la negazione dell’immediatezza, l’esaltazione, di contro, della prospettiva a lungo termine. Lo studio non è gratificante in sé. L’allievo che lo trovasse gratificante in sé verrebbe denominato secchione (i popoli con molti studenti secchioni, come Cina e India, ci seppelliranno). In una cultura che è essenzialmente cultura giovanile, in cui il modello umano fondamentale è l’adolescente, per cui i quarantenni vengono chiamati “ragazzi”, il ruolo tradizionale della scuola non appare dotato di senso. E infatti ormai anche molti docenti, non immuni al contagio mimetico, manifestano evidenti sintomi del morbo di Peter Pan.
Proprio così.