L’anima e il suo destino 1

mancu.jpgA partire da questo, dedicherò una serie di post ad una lettura dell’ultimo libro di Vito Mancuso, L’anima e il suo destino, da poco nelle librerie, che secondo me costituisce un passo decisivo da parte dell’autore – anche se ben preparato e da me atteso – di uscita dal Cristianesimo in quanto fondato sulla passione e morte di Gesù, per abbracciare una visione che è puramente e soltanto metafisica nel senso più classico e universale del termine. E perché questo sia chiaro fin dall’inizio andiamo, come spesso è utile fare, alla fine, a p. 311 e leggiamo:

La soteriologia è stata da me radicalmente ripensata, sottraendola alla dipendenza da un singolo evento del passato, per venire invece legata alla logica ordinata dell’essere di cui la giustizia è la traduzione a livello interpersonale. Io sono convinto che la salvezza dell’anima non dipende dall’adesione della mente a un evento storico esteriore, sia esso pure la morte di croce di Cristo, né tanto meno dipende da una misteriosa grazia che discende dal cielo eleggendo alcuni e trascurando altri senza altro criterio se non un volere insondabile che farebbe della vita una lotteria. La salvezza dell’anima dipende dalla riproduzione a livello interiore della logica ordinatrice che è il principio divino del mondo. In questa prospettiva la creazione viene a costituire il più decisivo trattato teologico, nella cui luce tutti gli altri vanno ripensati. Io sostengo che non c’è nulla nella rivelazione storica avvenuta duemila anni fa (o più del doppio, se si parte da Abramo) che aggiunga qualcosa di essenziale dal punto di vista soteriologico alla comparsa dell’uomo a immagine di Dio avvenuta 160.000 anni fa.

Ordine è la parola decisiva in questo libro (questo libro scrive sempre Mancuso). Penso che una mente metafisica di ogni tempo possa proferire insieme a Mancuso questa formula: “la salvezza dell’anima dipende dalla riproduzione a livello interiore della logica ordinatrice che è il principio divino del mondo”. E penso che la passione di Cristo qui non sia proprio necessaria. Infatti a p.312 Mancuso scrive:

La risurrezione di Gesù, a cui aderisco nella fede fiduciale verso i testimoni biblici e verso la tradizione della Chiesa che mi consegna i loro scritti, non ha alcuna conseguenza soteriologica, né soggettivamente, nel senso che salverebbe chi vi aderisce nella fede visto che la salvezza dipende unicamente dalla vita buona e giusta; né oggettivamente, nel senso che a partire da essa qualcosa nel rapporto tra Dio e il genere umano verrebbe a mutare. Non è la risurrezione di Cristo che, per prima, vince la morte; essa semmai è stata solo un segno eclatante del fatto che la vittoria sulla morte, ogni volta che è morto un uomo giusto, è già stata possibile mediante le leggi divine che governano il processo cosmico. La risurrezione di Gesù è un’immagine concreta del destino di vita che attende ogni giusto, è un segno di ciò che avviene ogni giorno. Non ci può essere nulla di straordinario e di inaudito quando si tratta di Dio. Solo l’universale è il linguaggio del divino.

Dunque la resurrezione di Gesù (e la sua passione) non sono propriamente necessarie. Sono qualcosa di eclatante, ma la sapienza di sempre non ha mai avuto bisogno di segni eclatanti. Giunto alla fine del libro, ho capito che la vicenda terrena di Gesù non è essenziale alla salvezza dell’umanità. La natura di questa salvezza è poi tutta da vedere. Per vederla bisogna tornare all’inizio di questo libro e leggerlo con cura e attenzione.

4 pensieri su “L’anima e il suo destino 1

  1. La salvezza dell’anima dipende dalla riproduzione a livello interiore della logica ordinatrice che è il principio divino del mondo

    Avrebbe potuto scriverlo Hegel, nella Prefazione alla Scienza della Logica, che definiva “la mente di Dio prima della creazione del mondo”.

  2. Ma ciò che “tiene aperto” lo spazio stesso entro il quale respirano tutti questi ragionamenti è l’ipotesi di immortalità dell’anima. Ed è a questa ipotesi che oggi, dopo tanto quadagno dell’explaining ai danni dell’understanding, non si riesce più a credere. E’ questa ipotesi a sembrare una favola insostenibile. Ora, se si “purifica” il concetto di anima fino a renderla un’entità talmente astratta che potremmo persino dimenticarci di possederla, la sua ricongiunzione post-mortem ad una divinità altrettanto astratta non sembra più eccitante di una transazione bancaria. Il guaio è che più ci riaggiungiamo sentimento (anelando al Bene e al Bello, scandalizzandoci del Male e del Brutto) più riscivoliamo verso la vecchia e patetica favola (nemmeno tanto innocente, nelle sue determinazione nell’aldiquà). Non c’è rimedio: la teologia è oramai soltanto letteratura fantastica.

  3. @ Binaghi: Hegel non è poi così altro dal corso principale della filosofia e della teologia occidentali, no?

    @ Copetti: Forse la transazione bancaria per alcuni soggetti è estremamente eccitante. Questa sarebbe mera fenomenologia. Ma appunto, bisogna vedere, filosofica-mente, che cos’è ciò che si eccita.

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