Onore al sapere

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Tutti quelli che blaterano di scuola dovrebbero leggersi la parte finale (almeno quella, chi blatera di scuola non legge poi molto, o legge solo masturbazioni intellettuali) de La lingua salvata di Elias Canetti. Il giovane Canetti interveniva molto, durante le lezioni, diceva la sua, si metteva in mostra, e a diversi insegnanti ciò dava fastidio, per non parlare dei compagni. Ma alcuni insegnanti, invece, lo amavano per questo, perché avevano capito che lui così facendo voleva rendere onore al sapere, e alla loro opera. E io, nel mio piccolo, rendo onore a Canetti, che amo.

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Io credo infatti che faccia parte del sapere il volersi rendere manifesto e non contentarsi di un’esistenza nascosta. Il sapere muto mi pare pericoloso, perché, ammutolendo sempre più, finisce per diventare un sapere segreto che poi deve vendicarsi della propria segretezza. Il sapere che si fa avanti, in quanto si comunica agli altri, è un sapere buono, che cerca, certo, stima e considerazione, ma non si rivolge contro nessuno. Il contagio che emana dagli insegnanti e dai libri tende a diffondersi. In questa fase di innocenza il sapere non dubita di sé, prende piede e al tempo stesso si dilata, si irradia, e vuole che tutto si dilati con lui. Al sapere sono state attribuite le qualità della luce, la velocità con cui tende a diffondersi è la più grande che si possa immaginare ed è un modo di onorarlo attribuirgli le qualità dei lumi. In questa forma il sapere è stato conosciuto dai greci prima che Aristotele lo inscatolasse a forza. Non è credibile che il sapere fosse pericoloso prima di essere frantumato e poi custodito. Per me Erodoto rappresenta l’espressione più pura di un sapere che era innocente perché doveva assolutamente irradiarsi: le suddivisioni che usa Erodoto sono i popoli, i quali parlano e vivono in forme diverse. Quando racconta di loro, egli non rafforza queste suddivisioni, ma al contrario lascia che in lui stesso trovino spazio le cose più disparate e fa sì che negli altri, i quali apprendono per mezzo suo, si crei lo spazio per accoglierle. In ogni giovane che ascolta mille cose diverse si nasconde un piccolo Erodoto, ed è importante che nessuno tenti di distoglierlo da questo solo perché da lui ci si aspetta che si limiti a una professione.

Ora la parte principale di una vita che si apre ai sapere si svolge nella scuola ed è questa la prima esperienza pubblica di un giovane. Può darsi che egli voglia distinguersi, ma assai più fortemente vuole irradiare il sapere di cui si è appena impadronito, affinché esso non diventi un suo possesso esclusivo. I compagni più lenti pensano per forza ch’egli voglia accattivarsi il favore degli insegnanti e lo considerano un secchione. Il giovane invece non ha un traguardo preciso che vuole raggiungere a tutti i costi, anzi i traguardi non li tollera, vuole sempre andare oltre, e in questo anelito di libertà tende a coinvolgere i suoi insegnanti. Non è coi compagni che egli si misura, ma con gli insegnanti. Sogna di strapparli all’utilitarismo, ch’egli vuole superare. Ama fra loro solo quelli che non si sono votati all’utilità, che lasciano fluire il loro sapere per amore del sapere stesso; ma quelli li ama di un amore smisurato, li onora rispondendo con prontezza alle loro sollecitazioni, e non si stanca mai di ringraziarli per il sapere che da essi si irradia ininterrottamente.

Ma rendendo omaggio agli insegnanti in questo modo egli si isola dagli altri compagni che vi assistono. Si mette in mostra davanti agli insegnanti e intanto dei compagni non si accorge nemmeno; non prova alcun rancore nei loro confronti, semplicemente li esclude dai gioco: è un gioco di cui essi non sono protagonisti, ma solo spettatori. Poiché non sono affascinati come lui dall’intima essenza dell’insegnante, non riescono a farsi una ragione che lui invece lo sia, e pensano perciò che sia impegnato in un gioco losco, per dei bassi scopi. Lo detestano per uno spettacolo nel quale non hanno alcuna parte, forse lo invidiano un po’ per la sua perseveranza. Ma soprattutto lo sentono come un elemento di disturbo, che confonde il loro naturale rapporto di ostilità verso l’insegnante, un rapporto ch’egli, per sé solo, ma pur davanti ai loro occhi, trasforma in reverenza. (La lingua salvata, pp. 280-282)

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