Il palazzo dei sogni

Il palazzo dei sogni

Ismail Kadaré ha fatto una bella esperienza di stati totalitari, dall’Albania all’Unione Sovietica. Ha sperimentato sulle sue spalle di intellettuale la pesanteur dello Stato moderno teso al controllo di tutto. Nel romanzo Il palazzo dei sogni (trad. F. Bruno, TEADUE 1998), la cui vicenda si svolge in un metaforico Impero ottomano di fine Ottocento, l’oggetto fondamentale del controllo dello Stato è costituito dai sogni dei sudditi. Da ogni parte, da innumerevoli centri di raccolta, i sogni degli abitanti delle province dell’Impero, trascritti in fascicoli, affluiscono ad un centro, che è un immane palazzo, labirintico, diviso in dipartimenti, popolato da miriadi di impiegati, ove i sogni vengono selezionati, esaminati, interpretati, raccolti in archivi. E se qualche sogno appare pericoloso per la stabilità del potere, si sottopone il sognatore ad accertamenti, interrogatori, ecc. Si prendono provvedimenti politici, si agisce per prevenire disastri anticipati nei sogni. La fragilità dell’individuo nei confronti del Leviatano, che gli sottrae perfino la cosa più privata che si possa immaginare, il mondo onirico estremo rifugio, è qui potentemente esposta. Ma questa fragilità è solo degli sfortunati soggetti ad un potere totalitario? O l’individuo è spossessato sempre di nuovo anche là dove s’invocano diritti personali e privacy?

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