“Potrà questa bellezza rovesciare il mondo?” è il sottotitolo del litblog collettivo La poesia e lo spirito, cui ho collaborato per qualche mese. Mi ha sempre lasciato perplesso: l’ho inteso come una tipica forma del risentimento degli intellettuali per il loro essere lontani dal Centro, un tema su cui intendo continuare a ragionare. Se la bellezza avesse per sé il potere di rovesciare il mondo, allora l’auriga di Delfi e il David di Michelangelo, tanto per fare due esempi, lo avrebbero rovesciato. Ma di che rovesciamento si tratta? Questo è il punto. E, per andare nel campo della poesia, che dire di quella di Anna Achmatova, che fu liquidata come “piccola borghese nevrotica”, che appunto non dava alcun contributo al rovesciamento della borghesia e delle forze controrivoluzionarie, e alla costruzione del mondo nuovo del socialismo realizzato? La bellezza delle sue poesie “intimiste” cosa rovesciava, se non la bruttezza e l’assenza di spirito?

Non so che cosa significhi rovesciare il mondo. Non è una palla?
Credo invece che possa salvarlo, il mondo, la bellezza.
Che cos’è la bellezza?
La bellezza è la verità ovvero asciutta necessità.
Come quello di “rovesciamento”, anche il concetto di “salvezza” è oscuro. Credo che i “rovesciatori” vogliano salvare. Il guaio è che spesso chi vuole “salvare” non è esente dalla violenza.
E noi possiamo vedere nella stessa storia del Cristianesimo l’intreccio tra potere (a cominciare da quello dei papi) e bellezza (si pensi alle cattedrali, costruite dalle mani di chi?). Il potere anche autocratico e spietato si è sempre circonfuso di bellezza. Poiché essa è strettamente legata alla forza.
Che verità e bellezza coincidano è idea antica e medioevale, ed è fondata su una cosmo-teologia metafisica: il “verum” della Modernità è invece spesso così orrendo che lo sguardo da esso si distoglie, poiché coincide col nulla, la morte, e il non senso di tutte le cose.
Il guaio sta, secondo me, nel porre la cosa come una domanda. Se c’è “bellezza”, essa ha già “rovesciato il mondo”. Così come si dice, del Regno di Dio, che c’è “già” e “non ancora”. Se uno crede di avere difronte la bellezza, e si domanda se essa potrà rovsciare il mondo, significa che non si accorge di avere difronte a sé un mondo già rovesciato dalla bellezza. (Se poi quest’uomo è grosso modo un cattolico, ciò significa che ha persa la credenza nella trascendenza, ovvero che si aspetta un Regno di Dio che s’instauri in terra come un vero e proprio regno). Quindi parlare di “risentimento” mi pare appropriato.
E io credo che il risentimento cresca in ragione della lontananza dal Centro. E poiché tra gli intellettuali oggi i più lontani dal Centro sono gli scrittori di poesie, essi saranno i più risentiti (oltre che forse i più numerosi).
La frase è di Dostoevskij, e credo che vada capita nel contesto del “Grande Inquisitore”. Se l’Anticristo è l’ingegneria tutta umana della felicità, la bellezza salva il mondo perchè è im-producibile. Si può progettare un’opera artigianale, ma la bellezza è una benedizione che non può l’artista darsi da solo. E’ un dono della natura o di Dio, ma che trascende la pura e semplice iniziativa umana.
D’accordo, ma la bellezza del tempio greco, che da duemilacinquecento anni ci muove nel profondo, riposa su una simbologia sacrificale, e in ultima analisi sulla violenza: come quella dell’Iliade, presenta questo mistero: che il violento dia luogo alla bellezza. La frase che ripete la Weil “Più cari agli avvoltoi che alle loro spose” è di una bellezza lancinante e terribile.