Pensare per figure

rel.jpgC’è in Pensare per figure di Franco Rella (Edizioni Pendragon, Bologna 1999) un passo in cui mi sembra sfiorato un concetto base della Generative Anthropology. L’autore sta parlando di Freud.

Certo, l'”assassino” cerca di nascondere le tracce del suo delitto, o di seminare falsi indizi, o addirittura di togliere di mezzo l’investigatore. Ma le tracce di ciò che è stato storicamente represso affiorano continuamente, con tutta la loro forza e violenza. “Soltanto che non è facile riconoscerle”, soltanto è necessario un lavoro critico per ricostruire la loro realtà materiale e, al contempo, il processo di repressione-distorsione cui esse sono state sottoposte. In questo Freud è senz’altro vicino alla “coscienza tragica” dei grandi romanzieri della crisi del Novecento. Si pensi a un vero e proprio romanzo di ricerca, un Untersuchungroman, come Il castello di Kafka, o Il processo in cui l’inchiesta finisce per colpevolizzare la vittima, nel confondere vittima e carnefici in un unico “spettacolo”.
È così che Freud porta il suo attacco, anche se cauto e silenzioso, al cuore stesso della Kultur, nel cuore del meccanismo di rappresentazione: e cioè nel dominio ideologico sulla realtà, quel dominio che Hegel aveva definito “la divina potenza dell’intelletto”, che è il linguaggio in quanto Aufhebung: il reale deve essere tolto per essere dominato. (p.43)

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