RAZZISMO

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Fabio Brotto

Se ne parlerà sempre di più. Perché esistono costanti storiche e modelli che, con mutamenti superficiali e innumerevoli varianti, si ripetono. Parlo sine ira et studio, come uno che non si entusiasma all’idea del melting pot e di fantastici paradisi di meticciamento, come uno che da tempo sottolinea criticamente l’estasi della non-identità, la voluttà dello sradicamento, in cui si culla tanta intellettualità progressista e di sinistra, affetta da un insanabile ideologismo vittimario. Io vedo un’Italia auto-indulgente, lamentosa, e pronta a scaricare la responsabilità dei suoi fallimenti su capri espiatori: da Bruxelles ai migranti. Questa Italia non è affatto vaccinata contro il razzismo: del resto, le leggi razziali del 1938 mostrano chiaramente come nessuna educazione cattolica di per sé contrasti il virus, e oggi l’Italia è un Paese cattolico solo parzialmente, e sostanzialmente pagano (qui c’è continuità, pagano lo era anche nel 1938). Penso che i fenomeni di natura razzista aumenteranno di numero e forse di intensità col crescere numerico della popolazione di origine africana. Nessuna predica moraleggiante potrà modificare gli orientamenti profondi della popolazione: questi potranno mutare sulla distanza di anni, e non è detto che avverrà in meglio. Anche perché al momento i giornali e i media in generale non sembrano comprendere (in alcuni casi lo comprendono benissimo) quanto conti il linguaggio che si usa, e quanto potenti siano le influenze che si riversano sui cervelli di una popolazione che legge sempre meno libri e in cui cresce a dismisura la percentuale degli analfabeti funzionali.
Guardate infine quel manifesto elettorale democratico del 1869. Dice che la piattaforma elettorale del Partito Democratico è a favore dell’uomo bianco, mentre quella del Partito Repubblicano è a favore dei negri. Semplificazioni deprecabili? Non che gli slogan delle ultime elezioni italiane fossero molto meglio… #razzismo

Sui fatti di Quinto di Treviso

Ciò-che-resta-delle-suppellettili-destinate-ai-profughi-e-bruciate-dai-residenti-di-Quintodi-TrevisoLa visione di roghi di materassi e suppellettili è una visione che desta sentimenti forti: di angoscia anzitutto, perché ogni rogo è sempre evocatore di violenza, e non di violenza individuale: evoca violenza di massa, come ben sapeva Elias Canetti, che ne parla in modo insuperato in Mass und Macht. Ma quel che è avvenuto nei giorni scorsi a Quinto di Treviso andrebbe analizzato con sobrietà, senza cedere a moti di pancia, e senza utilizzare la categoria di razzismo come una clava. Nel tessuto sociale della provincia di Treviso, infatti, le manifestazioni autentiche di razzismo virulento sono estremamente rare, e la violenza di bianchi contro neri, nordafricani o cinesi è quasi del tutto inesistente. D’altra parte, il fondarsi sulla propria percezione e sulla propria personale esperienza può essere fuorviante, come è fuorviante la convinzione di conoscere a fondo quella realtà imponderabile e sfuggente che è l’anima profonda di una popolazione, ammesso che esista. La presenza di formazioni di estrema destra in Veneto è paragonabile a quella di altre parti d’Italia, e ha carattere parassitario: si manifesta solo là dove viene offerta una occasione su piatto d’argento, come una piaga che attira le mosche carnarie. In questo senso, la decisione della prefetta Maria Augusta Marrosu di collocare 101 giovani uomini non identificati negli appartamenti sfitti di un condominio nella periferia di Quinto è stata una manifestazione di pura insensatezza. E non a caso ho scritto 101 giovani uomini non identificati e non 101 neri. Qui infatti non abbiamo un caso di semplice razzismo anti-africano. Un vero razzista è quello che non accetta che nell’appartamento accanto al suo viva una famiglia di neri. Qui, invece, se gli appartamenti fossero stati comprati o presi in affitto da famiglie di persone africane, come accade in vari condominii della provincia, non sarebbe accaduto assolutamente nulla. Lo stesso allarme, di contro, sarebbe stato generato dalla collocazione in quegli appartamenti, con le stesse modalità, di 101, che so, ucraini biondi e aitanti ma senza documenti di identità. Perché sono il numero alto di giovani maschi adulti e la loro identità sconosciuta anche allo Stato i due fattori di allarme dei residenti, nei confronti dei quali lo Stato stesso dimostra il massimo disprezzo. E questo è un elemento altamente destabilizzante, in un territorio in cui il sentimento antiromano è molto forte. Uno dunque è portato a chiedersi se a Roma siano idioti, e a rispondere di sì. Perché questo è sicuramente vero, che nelle periferie delle nostre città vi è un forte senso di insicurezza, avvertito particolarmente dai ceti medio-bassi, che una classe politica avveduta non lascerebbe mai nelle mani di forze eversive o para-eversive. Ma la gestione della cosiddetta emergenza immigrati dimostra, già solo con la denominazione emergenza, che la nostra classe politica avveduta non è.

Razza, specie, famiglia

Io non credo che la razza umana sia una sola, per quanto questa mia possa sembrare un’affermazione razzista. La specie umana, essa sì, è una sola, esattamente come la specie canina. Il cane è un animale unico, ma nessuno si sogna di negare che esistano le razze canine, come quelle di cavalli, conigli, ecc. Dal punto di vista scientifico, razza e specie non sono termini equivalenti, e razza ha un significato più legato al linguaggio comune, ma nondimeno se si parla di animali è irrinunciabile. Purtroppo, il nefando razzismo nazista ha marchiato indelebilmente il termine “razza”, e per gli umani non si può più usare, giustamente. Una questione di termini non deve però diventare una questione di sostanza. Parliamo dunque di tipi umani. Un nero e un bianco sono tipologicamente differenti, come tra gli stessi neri lo sono un watusso e un pigmeo. Ma riconoscere la differenza non significa affatto stabilire gerarchie di valore. Il nostro mondo attuale, invece, nemico della differenza, pensa che l’unico modo di impedire la sopraffazione sia negare la differenza stessa. E questo è in assoluto il suo errore più grande. In verità, è molto più facile negare che vi sia una differenza anziché accettarla e valorizzarla. Continua a leggere

Sulla razza

“Le razze umane non esistono, esiste solo la razza umana”. Una frase che si sente ripetere infinite volte, e che rappresenta forse il massimo del politicamente corretto. Rappresenta anche l’assoluta incapacità di accettare il diverso se non mediante la sua riduzione al medesimo. Così oggi non si può affermare che i neri riescono meglio nella pallacanestro e nella corsa, e peggio nel nuoto, a motivo della loro costituzione fisica. Bisogna dunque pensare che un pigmeo nel basket abbia le stesse possibilità di un watusso (tanto per restare tra i neri). Ogni affermazione che evochi la razza viene vista come razzista. E in giro si vede una spaventosa confusione tra i concetti di razza, di tipo umano, di specie, di cultura. Continua a leggere