NOTTE DI GIUGNO

kindertoten

Non potevamo dire sì, partiamo,
e neanche no, restiamo. Dove?
Siamo piccoli, e adesso siamo morti.
Uomini forti ci tengono in braccio.
Il mare di notte ci ha fatto paura,
tutti intorno dicevano a Dio aiutaci,
ma lui non ha ascoltato,
le mani di mamme e papà si sono aperte,
noi siamo stati un po’ nel freddo mare,
e poi a riva, non quella della vita.

(ai bambini morti nel mare di Libia, 2018)

https://www.facebook.com/brottof

(E)MIGRANTI

non-una-di-meno-675
Questione di prefissi. Avete notato il diverso lessico? Quelli di destra parlano sempre di IMmigrazione e di IMmigrati (solitamente clandestini), quelli di sinistra di migrazione  e di migranti. Certo non è un caso, come non è un caso che ben pochi parlino di Emigrazione e di Emigranti. La cosa può essere considerata sotto diversi punti di vista, e qui ne richiamo solo uno.
Secondo me, la destra usa il suffisso IN perché il suo sguardo è concentrato sul territorio-comunità-cultura da difendere: gli IN-migrati sono coloro che sono entrati nel nostro spazio (e non dovevano farlo), in sostanza sono invasori da controllare e respingere. La sinistra, di contro, vede con sospetto tutto quello che ruota intorno a identità e radici, e ama il mutamento, il meticciamento, il cambiamento e la sovversione. Scomparso il proletariato marxiano, essa ne cerca un sostituto, e lo trova nelle masse dei migranti. Senza IN, perché essa ama il movimento, non lo stabilirsi, il fissarsi entro confini, il radicarsi. Ma anche senza E. Per opposte ragioni, destra e sinistra hanno bandito la parola Emigrazione. Quella E rimanda infatti all’origine, ad una radice che né la destra né la sinistra vogliono vedere e davvero comprendere.

Sui fatti di Quinto di Treviso

Ciò-che-resta-delle-suppellettili-destinate-ai-profughi-e-bruciate-dai-residenti-di-Quintodi-TrevisoLa visione di roghi di materassi e suppellettili è una visione che desta sentimenti forti: di angoscia anzitutto, perché ogni rogo è sempre evocatore di violenza, e non di violenza individuale: evoca violenza di massa, come ben sapeva Elias Canetti, che ne parla in modo insuperato in Mass und Macht. Ma quel che è avvenuto nei giorni scorsi a Quinto di Treviso andrebbe analizzato con sobrietà, senza cedere a moti di pancia, e senza utilizzare la categoria di razzismo come una clava. Nel tessuto sociale della provincia di Treviso, infatti, le manifestazioni autentiche di razzismo virulento sono estremamente rare, e la violenza di bianchi contro neri, nordafricani o cinesi è quasi del tutto inesistente. D’altra parte, il fondarsi sulla propria percezione e sulla propria personale esperienza può essere fuorviante, come è fuorviante la convinzione di conoscere a fondo quella realtà imponderabile e sfuggente che è l’anima profonda di una popolazione, ammesso che esista. La presenza di formazioni di estrema destra in Veneto è paragonabile a quella di altre parti d’Italia, e ha carattere parassitario: si manifesta solo là dove viene offerta una occasione su piatto d’argento, come una piaga che attira le mosche carnarie. In questo senso, la decisione della prefetta Maria Augusta Marrosu di collocare 101 giovani uomini non identificati negli appartamenti sfitti di un condominio nella periferia di Quinto è stata una manifestazione di pura insensatezza. E non a caso ho scritto 101 giovani uomini non identificati e non 101 neri. Qui infatti non abbiamo un caso di semplice razzismo anti-africano. Un vero razzista è quello che non accetta che nell’appartamento accanto al suo viva una famiglia di neri. Qui, invece, se gli appartamenti fossero stati comprati o presi in affitto da famiglie di persone africane, come accade in vari condominii della provincia, non sarebbe accaduto assolutamente nulla. Lo stesso allarme, di contro, sarebbe stato generato dalla collocazione in quegli appartamenti, con le stesse modalità, di 101, che so, ucraini biondi e aitanti ma senza documenti di identità. Perché sono il numero alto di giovani maschi adulti e la loro identità sconosciuta anche allo Stato i due fattori di allarme dei residenti, nei confronti dei quali lo Stato stesso dimostra il massimo disprezzo. E questo è un elemento altamente destabilizzante, in un territorio in cui il sentimento antiromano è molto forte. Uno dunque è portato a chiedersi se a Roma siano idioti, e a rispondere di sì. Perché questo è sicuramente vero, che nelle periferie delle nostre città vi è un forte senso di insicurezza, avvertito particolarmente dai ceti medio-bassi, che una classe politica avveduta non lascerebbe mai nelle mani di forze eversive o para-eversive. Ma la gestione della cosiddetta emergenza immigrati dimostra, già solo con la denominazione emergenza, che la nostra classe politica avveduta non è.

Fuga dal campeggio

In fuga dalla tendopoli di Manduria (Infophoto)

Si vedono foto eloquentissime, come quella pubblicata sul Corriere, che raccontano la grande e subitanea fuga dalla neonata tendopoli di Manduria. Un abominio: Maroni pensava davvero che centinaia di giovani tunisini se ne sarebbero stati buoni buoni e fermi nel campeggio, desiderosi solo di farsi identificare e magari rispedire a casa? Il ministro leghista si è dimostrato impreparato ad un’emergenza che non dovrebbe nemmeno essere considerata tale. L’Africa si sta muovendo, e le immagini della facilità con cui si può entrare in Italia e muoversi nel suo territorio incentiverà altri flussi, moltiplicherà gli arrivi. Altro che il bossiano “fuori dalle palle”, icastico riassunto di una strategia raffinata e intelligentissima. Il problema dell’Africa in espansione demografica incontrollata è gigantesco, e le menti dei governanti italiani piccine piccine.