La visione di roghi di materassi e suppellettili è una visione che desta sentimenti forti: di angoscia anzitutto, perché ogni rogo è sempre evocatore di violenza, e non di violenza individuale: evoca violenza di massa, come ben sapeva Elias Canetti, che ne parla in modo insuperato in Mass und Macht. Ma quel che è avvenuto nei giorni scorsi a Quinto di Treviso andrebbe analizzato con sobrietà, senza cedere a moti di pancia, e senza utilizzare la categoria di razzismo come una clava. Nel tessuto sociale della provincia di Treviso, infatti, le manifestazioni autentiche di razzismo virulento sono estremamente rare, e la violenza di bianchi contro neri, nordafricani o cinesi è quasi del tutto inesistente. D’altra parte, il fondarsi sulla propria percezione e sulla propria personale esperienza può essere fuorviante, come è fuorviante la convinzione di conoscere a fondo quella realtà imponderabile e sfuggente che è l’anima profonda di una popolazione, ammesso che esista. La presenza di formazioni di estrema destra in Veneto è paragonabile a quella di altre parti d’Italia, e ha carattere parassitario: si manifesta solo là dove viene offerta una occasione su piatto d’argento, come una piaga che attira le mosche carnarie. In questo senso, la decisione della prefetta Maria Augusta Marrosu di collocare 101 giovani uomini non identificati negli appartamenti sfitti di un condominio nella periferia di Quinto è stata una manifestazione di pura insensatezza. E non a caso ho scritto 101 giovani uomini non identificati e non 101 neri. Qui infatti non abbiamo un caso di semplice razzismo anti-africano. Un vero razzista è quello che non accetta che nell’appartamento accanto al suo viva una famiglia di neri. Qui, invece, se gli appartamenti fossero stati comprati o presi in affitto da famiglie di persone africane, come accade in vari condominii della provincia, non sarebbe accaduto assolutamente nulla. Lo stesso allarme, di contro, sarebbe stato generato dalla collocazione in quegli appartamenti, con le stesse modalità, di 101, che so, ucraini biondi e aitanti ma senza documenti di identità. Perché sono il numero alto di giovani maschi adulti e la loro identità sconosciuta anche allo Stato i due fattori di allarme dei residenti, nei confronti dei quali lo Stato stesso dimostra il massimo disprezzo. E questo è un elemento altamente destabilizzante, in un territorio in cui il sentimento antiromano è molto forte. Uno dunque è portato a chiedersi se a Roma siano idioti, e a rispondere di sì. Perché questo è sicuramente vero, che nelle periferie delle nostre città vi è un forte senso di insicurezza, avvertito particolarmente dai ceti medio-bassi, che una classe politica avveduta non lascerebbe mai nelle mani di forze eversive o para-eversive. Ma la gestione della cosiddetta emergenza immigrati dimostra, già solo con la denominazione emergenza, che la nostra classe politica avveduta non è.
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