Nota di Giusi Meister
Erri De Luca, Montedidio, Feltrinelli 2005
Vedere un albero dalla parte delle radici
Per me leggere un libro di De Luca è sempre, esattamente, questo: vedere un albero dalla parte delle radici.
La realtà sotterranea, quella che nutre e dà alimento alla vita lui te la cava fuori dalla terra per mettertela in mano e mostrartela. Non so quanti scrittori siano in grado di far questo attraverso una mescolanza così riuscita di poesia e di prosa. Perché è così: nei suoi libri non sai dove finisce una e inizia l’altra.
‘Montedidio’, che è uno dei suoi libri più belli, ti riempie l’anima ad ogni pagina, e ti spinge a voler sapere di più anche della tradizione yiddish, ché Rafaniello da quella è mutuato.
De Luca narra di realtà perdute, di tempi trascorsi, di quel che è stato, ma ancora e sempre è. Infatti, se fosse solo una narrazione del passato, non ci toccherebbe tanto.
Lui è, come mast’Errico, un ebanista delle parole; un artigiano che lavora con lentezza, uno che non è ossessionato dalla lunghezza, ma dalla clorofilla delle lettere e dalla linfa del significato.
Un esempio, decisamente, per riacquistare, in questo mondo prolisso e sovrabbondante, l’essenzialità e la sobrietà della natura vera e viva delle cose”.