Visioni transumane

all18L’uomo occidentale brama sopra ogni cosa una “condizione protetta” (p. 34). Forse è questa la chiave per comprendere il successo, soprattutto nel mondo anglosassone ma non solo, che godono attualmente quelle che giustamente il titolo del libro di Antonio Allegra chiama Visioni transumane (Orthotes 2017). Perché è evidente che si tratta di visioni, la cui fondazione filosofica è fragile, ma che rispondono a bisogni, urgenze, ed esprimono desideri profondi, e per questo sono potenti e influenti. Questo è un libro ben scritto, con chiarezza argomentativa e di linguaggio, ma accademicamente rigoroso (difficile trovare in Italia questo connubio). Numerosi sono gli autori chiamati in causa, da N. Bostrom a O. Stapledon a P. Sloterdijk, a tanti altri. Le radici, e anzitutto la differenza, di transumanesimo e postumanesimo, sono puntualmente individuate da Allegra in Darwin e Nietzsche, ovvero nelle letture che sono state date di aspetti dell’opera di questi due giganti della cultura ottocentesca europea. Da un lato, il transumanesimo sostiene la necessità di un trascendimento dell’umano verso l’abbandono della materia e della corporeità, identificando nell’informazione il principio che potremmo chiamare, dal nostro punto di vista gnosticamente divinizzante (per cui la trasposizione del software cerebrale di una persona in un hardware perennemente rinnovabile ne garantirebbe la sempiternità); dall’altra il postumanesimo invoca il superamento dell’umano nell’indifferenziazione delle specie, postulando una fusione nella totalità degli esistenti. L’attinenza di questi temi a quel che avviene nella nostra vita sociale e culturale è evidente: diffusione dell’animalismo, tendenze a individuare sensibilità e “pensiero” nelle piante, veganesimo, ecc., con l’evidente compresenza da un lato di un feticismo della Natura, dall’altra del superamento del naturale, combattuto in nome della sua riduzione al culturale, e dunque alla sua disponibilità e modificabilità a piacere, con la costruzione del gender, ecc.). Di qui l’urgenza di un approccio critico-filosofico a questa materia. Ricchissimo di spunti e di suggestioni, il discorso di Allegra corrobora la mia idea che in Occidente stiamo assistendo ad un potente moto culturale di negazione della differenza (fatta salva quella censitaria, che però non è mediata culturalmente a livello medio-alto e accademico ma affermata fattualmente, determinando una situazione che potremmo definire di ipocrisia generale o, se si vuole, di inautenticità). Questo moto, tuttavia, la cui radice sta nel ripudio della radicale differenziazione che si è espressa nel razzismo dell’Olocausto, oggi incontra una montante marea contraria, determinata dalla percezione socialmente diffusa in molti strati della popolazione dei paesi ricchi, di una invasione da parte di culture estranee. Per questo, credo che la parola che più esprimerà la situazione della cultura occidentale negli anni a venire sarà caos. Del processo di indifferenziazione fa parte il rifiuto dell’essere adulti, evidentissimo ovunque. Mi sembra significativo che proprio su questo tema si chiuda il libro.

Lo sguardo equilibrato e disincantato sia su tecnica  che su natura (ovvero: lo sguardo adulto sul reale) è ciò che soprattutto rischia di andare perduto. Ad esso subentra l’odierna schizofrenia, espressa nell’attesa, non di rado nelle stesse persone, vuoi di mirabolanti terapie “tecniche” vuoi di rigenerativi olismi “naturali” e così via. (p. 135).

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