Se uno dei caratteri fondamentali dell’epica è la smisuratezza dei personaggi, la presenza di eroi che sono tali non per l’elemento morale ma per il loro oltrepassare le dimensioni consuete dell’umano, Sorgo rosso di Mo Yan (scritto nel 1988) è un grande testo epico. Questa sua natura epica emerge anche nei particolari minimi, non solo nelle battaglie tra cinesi e “diavoli” giapponesi invasori, ma anche in quelle tra ragazzi armati di bombe a mano e legioni di cani mangiatori di cadaveri, e in molto altro. Tutto qui è smisurato, a cominciare dall’oceano di sorgo, pianta semi-divina che offre cibo, vino, materiale da costruzione, e il cui colore richiama quello del sangue, che nel racconto scorre copioso. L’epos emerge negli aspetti minimi, ed un esempio formidabile è quello della cena dell’eroe centrale, Yu Zhan’ao, in una bettola in cui lui, affamatissimo, vorrebbe mangiarsi una bella porzione di quell’animale che sta bollendo in una pentola, spargendo intorno un invitante profumo: un cane. Ma l’oste gli vuol dare solo la testa, perché il resto è già prenotato dal grande bandito Collo Macchiato. Quindi:
“Yu Zhan’ao, seppure a malincuore, dovette piegarsi. Afferrò con una mano la tazza e con l’altra la testa del cane, bevve un sorso di vino e diede un’occhiata agli occhi della bestia che, sebbene cotti, apparivano ancora furbi e feroci, poi con l’animo di chi è stato trattato ingiustamente diede un morso mirando al naso: l’aroma era delizioso. Affamato com’era, non poteva certo fare il difficile, inghiottì gli occhi del cane, ne succhiò il cervello, masticò la lingua, e mangiò la carne del muso vuotando la tazza del vino. Fissò poi l’ossuto cranio della bestia, si alzò e ruttò”. (p.131)
È un libro per spiriti forti, non per mammole, diciamo.