L’identità (L’identité, 1997, trad. it. di E. Marchi, Adelphi 1997) è un romanzo del secondo Kundera, quello francese, in cui la vena creativa si è per così dire raffinata e nello stesso tempo ristretta e incanalata in un intimismo filosofico-narrativo. Personalmente, preferisco il primo Kundera, quello boemo de Lo scherzo e del meraviglioso Il libro del riso e dell’oblio. Qui un rapporto di coppia, quello tra Chantal, che è una donna non più giovane, e Jean-Marc, che è più giovane di lei, è raccontato sul filo di un’analisi sottile delle reciproche rappresentazioni dell’altro, della gestione del desiderio di ognuno, e della problematica dell’identità del sé in quanto legata alla capacità di attirare su di sé il desiderio degli altri umani. Nel caso di Chantal, il problema è quello del venir meno, per lei, dello sguardo desiderante degli uomini. Questo è decisamente un romanzo del rispecchiamento.
La frase di Chantal gli riecheggiava nella mente, e lui immaginava la storia del suo corpo: che era rimasto confuso tra milioni di altri, finché uno sguardo di desiderio si era posato su di esso e lo aveva sottratto a quella brumosa moltitudine; poi gli sguardi si sono moltiplicati e lo hanno infiammato, e da allora quel corpo va per il mondo come una fiaccola; è una gloria sfolgorante, ma di breve durata, perché presto gli sguardi cominceranno a farsi più rari, e la luce a poco a poco si spegnerà, finché un giorno quel corpo, divenuto traslucido, poi trasparente, poi invisibile, passerà per le strade del mondo simile a un piccolo nulla ambulante. Lungo questo percorso, che porta dalla prima alla seconda invisibilità, la frase «gli uomini non si fermano più a guardarmi» è la spia luminosa che segnala come sia ormai cominciata la progressiva estinzione del corpo.
Quand’anche lui le dicesse che la ama e che la trova bella, il suo sguardo amoroso non riuscirebbe a consolarla. Perché lo sguardo dell’amore è lo sguardo dell’isolamento. Jean-Marc pensava alla solitudine amorosa di due vecchie creature divenute invisibili agli altri: triste solitudine che prefigura la morte. No, non di uno sguardo d’amore ha bisogno Chantal, ma di una profusione di sguardi estranei, volgari, concupiscenti, che si posino su di lei senza simpatia né predilezione di sorta, senza affetto né gentilezza – in modo inequivocabile e fatale. Quegli sguardi le assicurano la permanenza nella società degli umani, mentre lo sguardo dell’amore la esclude da essa. (pp. 45-46)