In realtà si intitola Antwort aus der Stille, ovvero Risposta dal silenzio, questo lungo racconto di Max Frisch del 1936. Intitolarlo nella traduzione italiana (trad. di P. del Zoppo, Del Vecchio 2010) semplicemente Il silenzio significa togliergli qualcosa di importante. A volte i titoli assegnati dagli editori italiani alle traduzioni che pubblicano mi lasciano interdetto. E questo è uno dei casi. Perché il testo del venticinquenne Frisch è illuminato dal titolo, come spesso accade ai libri. E Risposta dal silenzio è tutta un’altra cosa: ha una sua intima dialettica, una profondità multipla, che la riduzione a Il silenzio annienta. La risposta che il protagonista, un trentenne giunto ad una sorta di resa dei conti finale con la sua ansiosa attesa di una realizzazione e di una pienezza di vita che non arrivano mai, otterrà infine da una ascensione in montagna al limite delle forze umane è l’oggetto della narrazione, il suo centro. Qui non abbiamo un generico silenzio, abbiamo il silenzio di quella montagna, il silenzio di fronte ad un’interrogazione e ad un’azione, un silenzio che può contenere una risposta, o essere esso stesso la risposta, o tutte e due le cose insieme. Il testo di Frisch ha dei lati di immaturità, come ci si può attendere da un venticinquenne che affronti una lotta metafisica, ma presenta una qualità letteraria di prim’ordine: come una serie di variazioni su temi di grandi sinfonie romantiche in un quartetto scritto da un grande musicista del novecento nella prima fase della sua carriera. Per questo, il titolo andava salvaguardato nella sua pienezza di significato.
