Il passaggio dal lineare capolavoro di Mario Benedetti La tregua al vasto romanzo di Daniela Ranieri Mille esempi di cani smarriti (Ponte alle Grazie 2015), che ho letto in successione, è stato brusco. La differenza di impostazione emerge fin dal titolo. La tregua – un articolo e un sostantivo – rimanda ad una sola idea, allude ad una profondità in cui il testo farà scendere il lettore. Mille esempi di cani smarriti, di contro, è ridondante (idea di numerosità, mille; idea di esempio; idea di cane; idea di smarrimento: ciascuna parola, da sola potrebbe essere titolo di un romanzo). Le più di cinquecento pagine fitte del libro di Daniela Ranieri ridondano, infatti: di capacità tecnica di scrittura, di abilità nel disporre le scene, di intuizione dei caratteri fondamentali della nostra epoca, di conoscenza della società italiana e di Roma in particolare, di esperienza dei modelli di vita e di pensiero della borghesia romana progressista (già esplorata dalla Ranieri in AristoDem.). La scrittrice è intelligente e colta, e sembra ansiosa di dimostrarlo, anzitutto con una marea di citazioni. Mille esempi di cani smarriti può essere visto come un affresco della società medio-alto borghese romana di sinistra dei nostri giorni: i personaggi sono uno più vacuo e insopportabile dell’altro: dalla psicoanalista da strapazzo all’artista di successo pieno di sé, al fisico medico dongiovanni e affarista, dal giovane rampollo pieno di soldi e di coca all’ex prete operaio convertito al successo mondano e al denaro, la galleria di filistei progressisti è varia e popolata. Il tempo della narrazione è quello di una serata sulla terrazza della protagonista principale, con una lunga serie di flash-back: la costruzione è pensata bene, quello che manca, a mio modo di vedere, è la sostanza dei personaggi. In fondo, questo è il pericolo maggiore di un testo che voglia essere anzitutto satira sociale: si resta alla superficie, tutto tende ad appiattirsi, e qui tutti i personaggi, o quasi, fanno schifo. Dovrebbe, in teoria, salvarsi Antimo (che nel nome reca un anti- che deve avere un senso), ma la sua inadeguatezza, la sua miseria umana, la sua debolezza e incapacità di contrapposizione aperta appaiono quasi altrettanto gratuite della rozza insensibilità e banalità delle persone che lo circondano. Per sopportare una vita coniugale in cui tua moglie ti usa come sputacchiera, e come tale ti offre ai suoi amici, per trent’anni o giù di lì, devi essere una nullità assoluta. Ma una nullità assoluta non troverà mai la forza di liberarsi, come invece alla fine la Ranieri porta Antimo a fare. Non convince. Ultima annotazione: tra le figure femminili, quella della giovane Franca è quella meno spiacevole. E tuttavia, con una famiglia disastrata dal lungo coma vegetativo del padre, bellissima ma profondamente sola, finisce per amare solo figure paterne, uomini che per età potrebbero essere il padre: prima il losco Erasmo, infine lo stesso Antimo, padre della sua migliore amica, quasi un incesto. Anche questa figura convince poco. E poco convince la sua fine sacrificale, che sembra un ingrediente artificioso immesso per determinare un’apertura attraverso la quale qualcuno si salvi.
