V.S. Naipaul, La perdita dell’Eldorado (The Loss of El Dorado. A Colonial History, 1969 e 2001, trad. it. di F. Cavagnoli, Adelphi 2012). Di coloro che abitavano l’isola di Trinidad prima dell’arrivo dei colonizzatori europei, gli indios delle varie tribù Arawak, non è rimasta traccia alcuna, nessun ricordo. Cancellati. Nessun ricordo nemmeno di coloro che dettero il nome al Mar dei Caraibi, i temutissimi Caribi mangiatori di uomini. Ma nemmeno dei neri importati come schiavi, e delle loro sofferenze, e del regime disumano cui furono sottoposti, rimangono molti ricordi. V.S. Naipaul può apparire in qualche modo scostante per un pessimismo antropologico radicale, ma questa sua opera è preziosa per chi voglia alzare qualche velo. C’è forse una scrittura eccessivamente secca, che a tratti rende difficoltosa al lettore una piena comprensione degli eventi. Ma non è un testo di storiografia, è un testo di pietas quasi nichilista, si potrebbe dire, ma non del tutto nichilista alla resa finale dei conti. Riaffiorano nomi perduti, si recuperano vicende politico-amministrative, di processi civili e penali, di violenza e di soprusi. Luce ferrigna, con lampi improvvisi. Il lettore viene afferrato da mani rapinose che lo trascinano indietro nel tempo: in epoche culturalmente lontanissime, ma così vicine, troppo vicine.
