De philosophia italica 1

È sempre un piacere per me leggere i libri di Fabio Vander, uno dei pochi pensatori forti dell’Italia contemporanea. Anche se (e forse proprio perché) lo sento lontano, nella stessa misura lo trovo stimolante. L’ultimo suo libro, De philosophia italica. Modernità e politica in Vico e Cuoco (Pensa Multimedia 2010) , affronta una serie di questioni dalle rilevanti ricadute politiche, tra le quali spicca quella della rivoluzione passiva e dell’eterno trasformismo italiano. 

De philosophia italica. Modernità e politica in Vico e Cuoco 

Vander inizia da Platone ed Aristotele, affermando un concetto che  risulta fondamentale in tutto il suo pensiero, che è dialettico: “non esiste giustizia perfetta, né politica perfetta; la finitezza è l’orizzonte intrascendibile del Dasein e del suo essere-nel-mondo, anche politico”. (p. 19)  Qui ritrovo una consonanza con un concetto di un autore per il resto lontanissimo da Vander come Amartya Sen, che nel suo L’idea di giustizia richiama il concetto antico indù della differenza tra la giustizia che si rifà alla relatività degli accidenti della vita (nyanya ) e quella che si riferisce ad un modello trascendente assoluto (nītī). Come emerge in vari punti del libro e note (ad es. nella 32 su Gioberti a p. 157) la finitezza non può essere pensata se non relativamente alla infinitezza. La finitezza esprime quindi due gradi di relatività.

1 (continua)

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