Se l’essere umano è animale politico, come lo definì Aristotele, occorre denominare animale politico italico la sottospecie che prospera nel nostro Paese, e che esprime le sue caratteristiche più ammirevoli nella Classe Politica o Casta. L’animale politico italico ha come sua caratteristica fondamentale la cura attenta della prole, che esso alleva e protegge dalla nascita all’età adulta, predisponendo con tutte le energie l’ambiente e le relazioni con i cospecifici in modo che la prole stessa possa prosperare, e quindi riprodursi a sua volta con successo. Alcuni esemplari di animale politico italico hanno più successo di altri, e riescono a inserire la loro prole, dotata di superiore capacità di sviluppo e grande precocità, in habitat favorevoli, ricchi di possibilità di alimentazione, già in età molto giovanile. Simile ai grandi primati in questo, l’animale politico italico vive in famiglie allargate o clan in cui esiste un maschio dominante alfa, e una gerarchia, dentro la quale i figli del maschio dominante alfa hanno le migliori possibilità di imporsi in futuro a propria volta come capi di clan.
All’interno del clan, il figlio del maschio dominante alfa è protetto dai membri subordinati del gruppo, che da questa protezione ricavano a loro volta vantaggi, come si vede in particolare nella spartizione del bottino. Infatti caratteristica fondamentale di questa sottospecie di animale politico è la grande voracità, che richiede la presenza sul territorio controllato dal gruppo di fonti di cibo abbondanti e rinnovabili. La sottospecie italica è anche molto rissosa, e pronta al conflitto con i gruppi che avverte come potenziali concorrenti. Quando due o più gruppi si vengono a trovare molto vicini in un territorio ricco di cibo, lo scontro è sempre inevitabile. A differenza di altri primati e anche di molte altre sottospecie di animale politico, l’ italico nei suoi combattimenti giunge raramente al contatto fisico diretto, e si serve essenzialmente del proprio sterco, che produce in grande quantità e lancia contro gli avversari. Quelli che colpiscono per primi e con maggior quantità di sterco gli avversari solitamente hanno la meglio.


Bellissima analisi
Ricordo che, in un’intervista di qualche anno fa sul “Corriere della Sera”, immediatamente successiva alla malattia che lo colpì, quando Aldo Cazzullo gli ricordò che suo figlio era con lui alla finestra, a Lugano, dove tenne il suo primo comizio da convalescente, Umberto Bossi rispose che lo aveva emozionato vederlo stringere il pugno e gridare: “Padania libera e indipendente”.
Bossi si esprimeva con lo spirito fiero e religioso di un rivoluzionario che stava sacrificando la sua vita per chissà quale nobile e sacra causa.
Ma Bossi non è Mazzini e non è nemmeno Cattaneo, e l’Italia non la vuole unire, ma spaccare. Di nobile e sacro poi, per il popolo leghista, non mi pare che ci sia stato, sino ad ora, molto di più del portafoglio.
Emozioni, slogan e pugni chiusi per un’entità, la Padania, che non è mai esistita sotto nessun cielo, sventolando una bandiera che è semplicemente quella dell’egoismo più selvaggio e dell’orgoglio etnico, se non addirittura tribale (connotati, per l’appunto, di un certo “animale italico”).
D’altra parte, i riferimenti culturali, alti, sono sempre gli stessi: e non vanno oltre i film di Martinelli e le canzoni di Battisti, che Bossi amava cantare mentre il figlio Renzo suonava il piano e la moglie la chitarra.
Mi pare che l’inno della Padania sia un coro verdiano…
E non mi pare che la cura della prole sia un tratto distintivo del padano: ad esempio, nel mondo dei media si vede uno stuolo di figli di giornalisti che fanno i giornalisti, ecc.