La parte per me più interessante de La voce inascoltata della realtà (una raccolta di saggi di René Girard curata da G. Fornari, Adelphi 2006) è quella finale, Innovazione e ripetizione. L’innovazione, compresa quella tecnologica-industriale, viene riportata da Girard al fenomeno generale della mimesi umana, di cui egli da decenni indaga la struttura e le leggi. Ne riporto un passo (254-255).
Non è un deficit bensì un eccesso di spirito competitivo a rendere la competizione produttiva impossibile. Se questo avviene occasionalmente nella vita economica, dove maggiore è l’incentivo a competere, che dire di forme di competizione più sottili ma ancora più intense, come quelle osservabili in campo scientifico, artistico e filosofico, dove mancano criteri di valutazione universalmente riconosciuti?
A mio giudizio, la tendenza a definire l’ « innovazione » in termini sempre più radicali e antimimetici, e la folle gara al rialzo che ho sopra descritto, riflettono la resa dell’intelligenza moderna di fronte a questa pressione mimetica, un autoinganno collettivo di cui lo stesso Marx, a dispetto di tutte le sue intuizioni, costituisce un ragguardevole esempio.
Al pari di molti altri intellettuali del XIX e XX secolo, Marx vede la competitività come un male assoluto, che bisognerebbe abolire insieme al libero mercato, vale a dire insieme all’unico sistema economico che incanala lo spirito competitivo verso direzioni più costruttive, anziché scoraggiarlo del tutto o esasperarlo sino a farlo sfociare nella violenza fisica. Il pensiero puramente storico di Marx si lascia sfuggire le complesse conseguenze antropologiche dell’uguaglianza democratica, che invece sono percepite da Tocqueville. Marx non ha rilevato il passaggio da un modo di imitare all’altro, né è riuscito a definire la rivalità mimetica a cui l’abbandono di modelli trascendenti e il crollo del pensiero gerarchico hanno tolto ogni freno.
Benché non manchino molte gloriose eccezioni, il nostro recente clima intellettuale non è stato influenzato da una lucida analisi dì questi fenomeni, ma dalla loro repressione, che produce ciò che Nietzsche chiama risentimento. La maggior parte degli intellettuali ha scelto la strada della minor resistenza di fronte alla mediazione interna, e la preoccupazione ossessiva che costoro nutrono verso i loro rivali mimetici è sistematicamente accompagnata dal più fiero rifiuto della rivalità mimetica, e dalla determinazione a cancellare questo abominio attraverso le rivoluzioni politiche e culturali.