Per quanto riguarda la caccia, questa attività è stata svolta interamente dai maschi della collettività e non a caso richiede capacità fisiche quali la forza o la resistenza. Se i cacciatori sono maschi ciò è dovuto al fatto che i sottogruppi non riproduttori, pionieri e soggetti alla discriminazione sociale, condannati a ricercare il nutrimento nel regno animale, erano costituiti da maschi. Per tutto questo periodo, le donne hanno conservato intatte le qualità grazie alle quali la specie continuava a sopravvivere, perseverando, spinte dalle circostanze, nella direzione tradizionale. A misura che la caccia si individualizza, esse aggiungono o conservano fra le loro occupazioni ordinarie, a completamento della rottura col passato, la raccolta delle piante, e dei piccoli animali, nonché l’uso dei resti della predazione. Ma questa non è, come spesso si è osservato, una semplice divisione del lavoro in cui gli uomini si occuperebbero dei tuberi e dei grandi animali, mentre le donne si limiterebbero ai frutti e ai piccoli animali, dove ciascun sesso cioè intratterrebbe un rapporto peculiare con l’ambiente specializzandosi nell’esplorazione e dove l’attività relativa ad oggetti diversi fa parte di un’unica risorsa globale. Al contrario, noi osserviamo che le due modalità di inserzione nel ciclo naturale si separano, come avverrebbe nel caso di due specie affini di cui l’una vivesse sott’acqua mentre l’altra si fosse data un equipaggiamento organico che consentisse di respirare fuori dall’acqua. L’aspetto puntuale, individuale e per così dire preumano della raccolta è sorprendente. Un osservatore inglese ha rilevato che “durante il periodo iniziato circa 350 mila anni fa e conclusosi 11 mila anni orsono, gli uomini avevano due occupazioni principali: la raccolta del cibo, come le grandi scimmie antropoidi (c.vo ns.) o come certi primitivi contemporanei, e la caccia, come i pigmei e gli eschimesi”. La caccia abbraccia, come vedremo, una sequenza complessa di azioni preparate, organizzate e collettive, comporta un equipaggiamento intellettuale e tecnico che esige una formazione preliminare degli individui. Da questo punto di vista, la distanza che separa il cacciatore dalla sua compagna che raccoglie e perlustra è paragonabile a quella che separa una specie umana da una protoumana o non umana. La separazione, fra i sessi, delle risorse e delle facoltà rispettive, indica la separazione fra due codici della realtà, due lingue diverse, (quali il francese e il tedesco) piuttosto che la variazione di accento, di idiotismi o di stile che contraddistinguono gli individui che parlano il medesimo linguaggio, ma appartengono a strati sociali diversi, dove si potrebbe scorgere un’analogia con la divisione del lavoro. Essa non stabilisce soltanto una comunicazione difficile bensì un’incomunicabilità durevole; consente a una categoria di attività e di comportamenti, che non hanno riscontro nel mondo animale, di consolidarsi, di lottare contro l’erosione del tempo e di affermare ciò che è peculiare agli uomini in modo durevole.
Da La società contro natura, tr. M.Baccianini, Ubaldini, Roma 1973.
il fatto che la caccia continui, tutt’oggi, ad essere: svolta interamente da maschi, fa capire come questa incomunicabilità di linguaggio tra i due sessi sia dovuta soprattutto ha una condizione di intolleranza di fondo, nell’accettare, da parte della femmina, determinate condizioni che la pratica della caccia esige.
io non credo che ci voglia una formazione particolare per svolgere un’azione di caccia, l’individuo che caccia viene perlopiù guidato dal suo istinto,
piuttosto, spero non si aprano scuole in merito.
c’è un’acca di troppo :-)
No, cara Carla, la caccia non è una cosa del puro istinto. Le pulsioni sono molte, e sarebbe la stessa cosa dire che per l’alimentazione non occorre alcuna formazione particolare, perché è “guidata dall’istinto”. Invece, ciascun popolo ha la sua cucina come aspetto fondamentale della sua cultura. La caccia è un fatto culturale, non istintuale.
bè, se prendiamo d’esempio gli indiani, posso crederci…
tutto si trasformava in rito, la caccia del bisonte…
però loro lo facevano per sopravvivere.
Quanto più una forma di attività umana è lontana dall’esigenza della mera sopravvivenza, tanto più essa si formalizza e accentua i suoi caratteri culturali. La caccia del bisonte, in quanto caccia e non mera predazione animale o uccisione-macellazione come quella dei bovini d’allevamento odierni, ha un indissolubile aspetto culturale-ludico-eroico con conseguenze anche narrative (orali). Cui ovviamente le squaw non partecipano.