Is Nature Enough? 7

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Un naturalista darwinista sarà pronto a fare affermazioni come questa del biologo David Sloan Wilson: “Il metro aureo che deve misurare tutte le altre forme di pensiero non è la razionalità. E’ l’adattamento la pietra di paragone con cui si deve giudicare la razionalità insieme con le altre forme di pensiero” (Darwin Cathedral: Evolution, Religion and the Nature of Society – University of Chicago Press, 2002, p. 228). Mi chiedo, tuttavia, se Wilson si renda conto di quanto la sua subordinazione della razionalità all’adattamento evolutivo mini logicamente non soltanto la sua affermazione, ma anche la fiducia con la quale la sua stessa mente avanza quella affermazione. Assumendo che l’idea appena citata sia una di quelle che provengono dal cervello di Wilson, e assumendo anche che il suo cervello sia il risultato di un processo evolutivo adattivo, su quali basi potrebbe Wilson giustificare il suo assunto per cui i lettori dovrebbero pensare che la sua affermazione sia razionale e vera piuttosto che un semplice tentativo di adattamento? Se a sopravvivere adattivamente fosse stata una proposizione contraria a quanto asserisce Wilson, allora secondo l’impostazione di Wilson non sarebbe stata forse da giudicare razionale e vera? Ma se fosse così la verità non avrebbe alcun significato stabile, e il suo perseguimento non potrebbe avere la funzione di dare senso alla nostra vita. (p. 113)

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In altri termini, se tutto è adattività, anche il pensiero che tutto è adattività è adattivo. Ma se è così, domani potrà sorgere un pensiero adattivo che nega che tutto sia adattivo, e forse occorre pensare che per noi umani sia più adattivo anche oggi un modo di pensare che esclude l’adattività come spiegazione di tutto. In ogni caso, il corto circuito logico e l’autocontraddizione mi paiono evidenti. Si cade in una forma particolare di gnosi, per cui si dà il retropensiero che l’evoluzione adattiva così com’è pensata sia una verità non transeunte, e la mente che pensa l’adattività sia sottratta magicamente all’evoluzione stessa.

8 pensieri su “Is Nature Enough? 7

  1. La razionalità potrebbe comunque venire intesa come una congruenza di forme riferite al proprio punto di vista. Se uno sbaglia un colpo perché il suo mirino è sballato, ma ancora non lo sa, il suo mirare “ingenuo” sarà da considerarsi razionale esattamente quanto quello “compensato”, che adotterà nel momento in cui si accorge di tale difetto. Vi è un progressivo adattamento rispetto al fine di centrare il bersaglio e la verità qui è semplicemente quella dei fatti, progressivamente avvicinabile per tentativi, sbagli e relativi affinamenti. Dove sta il problema “logico” in tutto ciò? Sicuramente questa verità con l’iniziale minuscola non riguarda le motivazioni a tirare su tale bersaglio, che appartengono ad un altro dominio, cioè quello di una Verità con l’iniziale maiuscola verso la quale le forme possono fornire soltanto dei suggerimenti emotivi.

  2. Cordialmente dissento su questa presunta “chiusura” della razionalità. La stragrande maggioranza delle “spiegazioni” che abbiamo a disposizione sono tali soltanto in virtù dei “marcatori emotivi” di cui riescono a circondarsi con sufficiente regolarità. Noi non deteniamo le chiavi del nostro “senso di soddisfazione” a fronte di una spiegazione (che non sia completamente formalizzabile o meccanizzabile) per questo insisto sulla necessità di integrare la dimensione estetica, che rappresenta una sorta di stenografia, quasi sempre obbligata, sulla massa inconcludente dei ragionamenti.

  3. Questo tuo discorso mi appare in effetti emotivamente marcato, per usare la tua terminologia. Ma non è questo a renderlo vero o falso. Anch’esso sta in relazione ad una idea di verità, altrimenti non potrebbe confrontarsi col mio.

  4. Le parole operano incantesimi, delineano fate morgane: e queste verità che ci pare di intravedere, con le quali cerchiamo di relazionarci, sono naturalmente delle astrazioni, dunque della stessa “materia” (diciamo) dell’inesauribile pi-greco. Ma “esiste” davvero il pi-greco? Esistono i numeri primi, dei quali siamo persino in grado di decretare l’infinità? O non esisteranno piuttosto “soltanto” quelli che siamo in grado di generare, secondo tale ferrea regola? E dunque tutte le complicate favole attraverso le quali ci raccontiamo, scoprono davvero una verità delle cose, o piuttosto non la inventano, in funzione dei paesaggi di marcatori somatici entro i quali scaturiscono, come soluzioni implicite d’una tessitura di tensioni che si aggrappano nel profondo delle viscere. Questo per lo meno spiega perché in certi domini del sapere un accordo – per quanto tutti si richiamino alla razionalità – non venga mai raggiunto e le teorie, quali forme irrapportabili, si accatastino senza mai integrarsi, adeguandosi solo quel tanto che serve a non andare in contrasto con le evidenze elementari.

  5. L’essere non è una favola, e nemmeno il principio di non contraddizione, che governa questo tuo discorso come tutti i discorsi sensati, nessuno escluso. Le stesse evidenze elementari sono dichiarate tali dal logos, e al di fuori di esso non sussistono come tali. Lo stesso dissenso radicale tra i pensanti, come quello tra me e te, è sussunto da una idea della verità come corrispondenza all’essere delle cose, una idea che condividiamo, altrimenti non dialogheremmo.
    Aggiungo che l’astrazione è essa stessa parte dell’essere, come le formulazioni della fisica nucleare e la bomba di Hiroshima.

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