Filosofia di passione 2

Le critiche che Fornari muove a Girard non sono di scarso spessore. Non mi sorprendono affatto, perché già nel 2002, in uno scambio di e-mail successivo alla pubblicazione di Fra Dioniso e Cristo, mi aveva fatto capire come su alcune questioni egli si stesse differenziando dal maestro.
Anzitutto, questa differenziazione si attua sui concetti di desiderio, mediazione e relazione all’oggetto.

Per Fornari, il pensiero di Girard è

estremamente efficace nel sottolineare fenomeni che una vera omertà collettiva e scientifica cerca di coprire, ma più che mai riduttivo nello sforzo semplificatorio che l’autore ha prodotto per identificare l’inesauribile fuoco della mimèsi rivalitaria. Pur di sintetizzare il principio esplosivo della rivalità, condensandolo nel suo concetto di mediazione interna, Girard si è reso cieco a tutti quegli aspetti del mimetismo umano in cui il mediatore è fisicamente o simbolicamente vicinissimo e il desiderio da lui suscitato raggiunge la massima intensità senza nessuna implicazione rivalitaria, almeno in linea di principio. Il caso più clamoroso è costituito dall’innamoramento, esperienza di estrema vicinanza emotiva e affettiva dove le componenti mimetiche si esaltano al grado più alto, e gli aspetti ostili e rivalitari possono benissimo intrudersi, ma esattamente come la patologia si intrude nella fisiologia.

(pp. 47 – 48 )

Anticipo qui una mia critica di fondo. Dunque, per Fornari esiste una mediazione positiva, una fisiologia dell’umano, per così dire, come nell’amore. Ora, a me pare che qui si evidenzi uno dei nodi problematici del pensiero fornariano, perché esso pone pur sempre all’origine assoluta della cultura la Vittima (con la V maiuscola) come principio da cui tutto scaturisce (comprese le coordinate spazio temporali), e per poter asserire insieme la mimesi come positiva non può che valorizzare positivamente il principio stesso da cui la mimesi scaturisce. Cioè il sacrificio. Dalla vittimizzazione (io ho coniato a suo tempo per la teoria di Fornari l’espressione onnivittimismo) devono scaturire di conseguenza anche i principi della morale, la distinzione tra il bene e il male. E, infine, il bene stesso deve scaturire dal processo vittimario: se è così, la fuoriuscita dal sacro violento oltre a non essere forse auspicabile non è pensabile, se non con un salto nella fede: e infatti questa, nonostante tutte le affermazioni di filosofia, è infine richiesta.

E’ caratteristica di Girard (…) anche una sostanziale svalutazione dell’oggetto, che è alternativamente o l’entità fantasmatica del desiderio in delirio, o l’entità neutra del puro bisogno, restando al di qua o al di là del desiderio “corretto” e non rivalitario, così che diventa impossibile capire il suo ruolo. (p. 48).

Certamente in Girard l’oggetto in quanto realtà solida e indipendente dal desiderio svanisce, e le sue qualità reali sfumano nell’indistinto del furore rivalitario, così che riesce molto difficile pensare, all’interno delle sue categorie, la desiderabilità ad es. di una bella donna se non come proiezione fantasmatica di soggetti desideranti in relazione conflittuale reciproca. Penso, tuttavia, che il desiderio non possa essere tematizzato criticamente se non in rapporto alla rappresentazione, senza la quale non sarebbe umano e regredirebbe entro la sfera della mera appetizione. La bella donna non è desiderabile immediatamente, ma la mediazione non è necessariamente costituita da un rivale incombente (o da più rivali), piuttosto da un intreccio di rappresentazioni in cui sono presenti anche i diversi piani temporali, che nella mente desiderante compongono insieme l’intenzionalità e la possibilità (di acquisto, ma anche di perdita, di sventura, ecc.). Ma, come vedremo, forse anche per distinguersi da Eric Gans, cui destina poche righe, al solito abbastanza liquidatorie, Fornari non dedica molto spazio al tema del linguaggio e della rappresentazione, preferendo parlare di simboli. Va aggiunto, poi, che non solo l’oggetto in Girard è fantasmatico, ma lo è anche il soggetto. L’individuo esistente per se è secondo Girard, infatti, illusorio, un prodotto del Romanticismo. Tuttavia, la sua idea del dividuo rivalitario appare almeno altrettanto inconsistente. Manca a Girard una filosofia della persona o una qualche fondazione dell’essere del soggetto, per cui alla fine io mi sono sempre chiesto che cosa sia quello che, secondo lui, viene infine salvato da Cristo (visto che anche in Girard, sebbene in forma meno pronunciata che in Fornari, appare come necessario un salto nella fede), dato che l’umano è così insostanziale.

tutto ciò che concerne l’oggetto nell’uomo ha sin dall’inizio una connotazione cognitiva, emotiva e simbolica, e non è pertanto riducibile a una mera “cosalità” di impulsi di origine biologica. Appetiti e bisogni esistono eccome, ma non sono mere registrazioni di impulsi materiali e corporei da distinguere artificiosamente da un’imitazione che giungerebbe in un secondo momento, bensì come grado zero di un’organizzazione assai più complessa e capillarmente mimetica, che da subito interagisce con la sfera dei bisogni, interpretandoli e orientandoli secondo le sue dinamiche desiderative e imitative. (p 50)

La scoperta dei neuroni-specchio, confermando la disposizione fondamentale all’imitazione propria dell’umano (e delle scimmie), offre ai sostenitori della teoria mimetica (tra cui mi annovero, anche se lato o latissimo sensu) la grande occasione di interloquire con la parte più avanzata della scienza mostrandole, nel contempo, come essa possa essere solo un parziale, anche se importantissimo, contributo alla comprensione di quello stesso umano di cui essa è un prodotto. L’aspetto trascendentalmente auto-riflessivo deve essere sempre tenuto presente, qui come altrove. Ogni affermazione sull’umano e la sua origine, come ogni teoria dell’universo o equazione matematica ecc., si dà all’interno della trascendentalità del pensiero umano, e da quella sfera non può uscire. Così l’elemento che ci appare immediatamente esperienziale rimane irrelato e incomunicabile se non è assunto entro la dimensione della rappresentazione e del linguaggio. “Esistono esperienze non esprimibili”. Certo, ma questa affermazione è una espressione linguistica, e il suo contenuto è rappresentato nella dimensione intersoggettiva del linguaggio. (2 – continua)

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