Sulla caccia

scru.jpg“La mia vita è divisa in tre parti: ero disgraziato nella prima, a disagio nella seconda e a caccia nella terza.” Comincia così, in questo modo folgorante, il libro di Roger Scruton Sulla caccia (On Hunting, 1998, trad. it. di D. S. Panconesi, Editoriale Olimpia 2007). Non è tuttavia un testo sulla caccia in generale, ma su quella, contestatissima e infine abolita recentemente, alla volpe. Una caccia a cavallo, con mute di cani, che costituiva un momento fondamentale, e in un certo senso fondante, della vita della campagna inglese.
Scruton da animale cittadino si converte alla vita di campagna e alla caccia a cavallo. Questa è in effetti una sorta di autobiografia, in cui sono presenti alcuni dei temi polemici principali di Scruton, ma anche pagine che potrebbero stare in un romanzo, tanto sono narrativamente persuasive. Fra tutte, le più belle sono quelle della conversione. Scruton ha iniziato a frequentare la campagna percorrendola in groppa ad un lento e goffo pony di nome Dumbo, quando all’improvviso viene a trovarsi nel bel mezzo di una turbinosa cacciata alla volpe. E Dumbo si trasforma, si lancia in mezzo alla torma di cavalli, cerca di raggiungerne la testa, si muta in un cavallo da caccia. La trasformazione si trasferisce a colui che lo cavalca, che diviene, di punto in bianco un uomo-cacciatore.Si tratta però di una passione per la caccia mediata dall’equitazione e da un amore sconfinato per i cavalli. Un fatto sociale, che unisce uomini, cani e cavalli in una unione arcaica e indicibile con la terra vivente. Io, che sono un cacciatore solitario che ha un rapporto vitale anzitutto col singolo mio cane (e non con la muta-branco), seguo un altro sentiero, ma comprendo senza residui l’entusiasmo scrutoniano.

I pensatori astratti devono rinnovare la loro coscienza su ciò che è realmente reale. Dovrebbero essere affamati della vista e dell’odore e del tatto delle cose; niente meglio della caccia riesce a mettere bene a fuoco la realtà del piacere dei sensi. Questo «Essere» a cui Heidegger si riferisce, come se fosse una roba gommosa da cui spuntano le gemme del Dasein (io e te) come strani protozoi – ma che c’entra con l’elasticità della terra, con la melma della riva di un fiume e la ghiaia fangosa dove vengono piantati quegli zoccoli fiduciosi? La terra non è una cosa sola, ma tante: dura e morbida, resistente e molle, asciutta e umida, coperta dì erba o brulla sotto la stoppia dispersa della vegetazione dell’anno precedente. Zampe, zoccoli e piedi passano a turno attraverso questo terreno sfaccettato, acchiappandolo come un neonato acchiappa la madre, riconoscendo ogni sua parte dal sapore e dal tatto. Montati ìn alto su questi animali volanti rientriamo in quello stato al quale i nostri antenati hanno rinunciato per motivi di comfort, uno stato in cui la prossimità della morte impone l’umiltà. (p.76)

I cavalli sono creature abitudinarie e sono contenti di seguire una piacevole vita regolare. Però, questo non significa che la qualità della vita sia uguale per loro ovunque: al contrario. Un solo tipo di cavallo vive al massimo la vita da cavallo: il cavallo da caccia. Solo lui, fra gli animali addomesticati, può correre con il branco, in forma, ben nutrito e spensierato, attraverso la campagna ripulita dai suoi predatori naturali. Non c’è migliore gioia equina che correre, uno accanto all’altro, con altri cavalli, immersi nella marea della vita della propria specie, eccitati dal latrato dei cani – un suono che suscita una memoria collettiva di terrore primordiale, ma che ritorna da quelle profondità inconsce come un’eco di gioia invece che di terrore. Il cavallo è diventato la cosa meravigliosa che è fuggendo da quel suono, e trova il suo appagamento rincorrendolo. (pp. 71-72)

6 pensieri su “Sulla caccia

  1. Grazie della preziosa segnalazione. Prendo nota.
    Scruton, credo, sia (oltre che filosofo eccetera…) pensatore politico solido e serio, di larghe letture, anche sociologiche, e con forti basi analitiche. Ha scritto molto, come tu sai; e ce ne sarebbero di cose da tradurre…
    Ovviamente hai già visitato il suo blog.
    Grazie ancora e ciao,
    Carlo

  2. quelle due righe di Girard in La violenza e il sacro ( su Caino vegetariano e Abele, mi pare cacciatore) oltre a rivelare uno spiegabile gradimento di Dio aiutano a comprendere la domesticazione umana nella caccia, oggetto che può salvare da pericolose crisi mimetiche ciao

  3. Veramente Abele era pastore, il che presuppone l’avvenuta domesticazione di quelle che furono prede. E’ vero peraltro che l’agricoltura ha col sacrificio umano un rapporto stretto, che la caccia non ha.

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