Stanno accadendo cose strane nei libri, ora che l’informatica domina, e il vecchio correttore di bozze non esiste più. Cose strane che emergono anche in edizioni costose e curatissime come quella del pregevole (e costoso: 48 Euro), fondamentale studio di Quirino Principe Il teatro d’opera tedesco (II, 1830/1918) (L’EPOS, Palermo 2004), in cui troviamo, solo per fare un esempio, a pag. 28 un pericolo in luogo di periodo, e a pag. 41 un testo in luogo di teatro. Il computer corregge, in modo non sempre opportuno, l’errore nelle singole parole, ma non è in grado di cogliere e giudicare la sensatezza di una frase complessa. E ormai è ben difficile leggere un libro, e in particolare un romanzo, potendo contare su di una scrittura perfettamente corretta. Non parliamo poi delle traduzioni. Anche case come Einaudi ci danno traduzioni, anche da lingue comunissime come l’inglese, di affidabilità malcerta. Non in tutto è progresso.
Così nell’interessante, ma fallito, romanzo di Maurizio Maggiani Il viaggiatore notturno (Feltrinelli, Milano 2005), troviamo qualche passaggio che lascia perplessi. Frasi stilisticamente ambiziose come “Nel cibarsi tenevano un comportamento austero anche i ragazzi; la leggiadria sciorinava da un improvviso brillio di orecchini nella penombra, lampeggiava per un solo attimo dal biancore di un sorriso scaturito dal viola cupo della notte”. Dove il verbo sciorinare appare usato in modo talmente fuori dall’ordinario da far nascere qualche sospetto, mentre a pag. 30 il lettore è certo di una confusione: “E i loro sensi di colpa le inducevano a subornare vaghe insidie e malcelati pericoli…” sfiora un involontario effetto di comicità nonsense. A parte ciò, questo romanzo dell’autore del Coraggio del pettirosso non è, come si diceva, privo di interesse. Intanto perché in esso troviamo il ripresentarsi dell’interlocutore islamico (qui è un Jibril che ha il ruolo di narratario), come se lo scrittore avesse il bisogno di proiettare la narrazione del narrante (anche qui un io, come al solito) entro una dialettica di diversi davvero diversi. Solo che, esattamente come avviene nel romanzo di Nigro Malvarosa, il narratario islamico, rimanendo piuttosto passivamente tale, non si può porre come interlocutore reale, e la sua islamicità risulta infine un dato abbastanza epidermico. Il secondo elemento piuttosto interessante è la figura della Perfetta, strana ombra carnale che si aggira nei Balcani insanguinati dalle guerre, bogumilla che rimanda a quel catarismo ogni tanto presente nella narrativa contemporanea, con esiti solitamente non eccelsi. Sembra che gli scrittori siano affascinati dall’elemento folclorico-esoterico e non vogliano impegnarsi nella penetrazione del residuo dualistico-cataro presente e operante in profondità nell’Occidente (e che si può cogliere, in forma più o meno travestita—ad esempio in Kierkegaard e in Simone Weil…). Ambientato nella regione dell’Assekrem, tra i Tagil, il romanzo vive dell’incombente presenza-assenza di père Foucauld, che si proietta sopra la coscienza del narratore, che là si trova come irundologo, in attesa di un arrivo delle rondini migranti dall’Europa verso il cuore dell’Africa. E il narrante narra, del suo presente e del suo passato, della visita al postribolo africano e dell’assedio di Tuzla, dell’armeno Zingirian e dei suoi vagabondaggi, dell’orsa quasi-antropofaga Amapola in fuga dalla guerra e dell’uomo misterioso che da millenni cammina per giungere ad assistere alla nascita del Profeta, oscillando tra realismo e realismo magico, ma la sua narrazione sembra infine chiudersi con troppa carne al fuoco per sole 193 pagine.
“Sembra che gli scrittori siano affascinati dall’elemento folclorico-esoterico e non vogliano impegnarsi nella penetrazione del residuo dualistico-cataro presente e operante in profondità nell’Occidente”
Questa osservazione, a mio parere, è molto importante.
“e che si può cogliere, in forma più o meno travestita—ad esempio in Kierkegaard e in Simone Weil…”
Per mia ignoranza non seguo il riferimento a Kierkegaard, mentre quello alla Weil, già ben segnalato da Del Noce è per me piano (un giorno metterò nel Covile, l’istruttiva storia dell’incontro della cara Simone col martello pneumatico…). Ma K. non è l’autore di Fabro ?
Caro Stefano, Cornelio Fabro si è interessato molto a Kierkegaard. Secondo alcuni ( come il mio amico Alberto Gallas, che a suo tempo passò estati in Danimarca per imparare il danese e poter tradurre K. dall’originale), capendoci poco.