Una delle tante variazioni sul tema Amore contro Onore di tassiana memoria, l’incantevole racconto di Adalbert Stifter L’antico sigillo (Das alte Siegel, 1847, trad. it. di E. Fiandra, con testo a fronte, Marsilio, Venezia 2000), contiene pagine davvero stifteriane, di perfezione adamantina. Il racconto è denso di spessore simbolico, che il testo a fronte consente di cogliere nell’originale tedesco, in cui la perfezione della nitida prosa di Stifter mi sembra sempre impregnata della memoria dell’universale trascorrere di tutte le cose. … “Wie viele werden noch nach uns kommen, denen sie Freude und sanfte Trauer in das betrachtende Herz senken, bis auch sie dahin sind, und vielleicht auch die schöne freundliche Erde, die uns doch jetzt so fest gegründet, und für Ewigkeiten gebaut scheint” (180-182). Il nostro destino, ci dice Stifter, è segnato da eventi che nel loro principio (come è anche secondo Guicciardini) sono spesso minimi, tanto che è impossibile coglierli. E noi ci troviamo infine incatenati, anche quando, come avviene in questo racconto, le catene sono il frutto di una nostra (non) scelta, e tutto sarebbe potuto andare diversamente.
Narra una leggenda che quando in Svizzera la “rugiada” di una giornata d’inverno, serena e tiepida, si leva in montagna sul morbido e denso manto innevato, e allora in cima una campanella risuona, un mulo sbuffa o un granello cade, dal manto di neve si scioglie un soffice fiocco e scorre lieve qualche centimetro più in basso. La lanugine, morbida e umida, che il fiocco bacia nel suo corso, va ad arricchirlo, forma un piccolo grumo di neve e poi cade molto più che qualche centimetro più in basso. Il grumo continua a rotolare in leggeri saltelli per qualche palmo lungo il pendio roccioso. Prima che ci sia il tempo di batter ciglio tre volte, già una massa gigantesca sobbalza sui gradini del rilievo, accompagnata da innumerevoli grumi più piccoli, che essa travolge provocando lo slittamento di nuove masse. Quindi scivola tracciando ampie curve. L’intera parete si riempie di vita e di cupi boati. Lo schianto che si avverte subito dopo, simile all’infrangersi di migliaia di schegge, è il bosco devastato, il fievole scricchiolio è il movimento delle rocce — poi si ode il sibilo di un soffio, poi un tonfo e un rumore sordo — — poi un silenzio mortale — solo un fine pulviscolo bianco si solleva in lontananza verso l’azzurro terso del cielo, dalla valle spira una fresca brezza sulle guance del viandante che s’inoltra sul sentiero elevato, e tra le montagne lontane rimbomba l’eco di un tuono profondo. Poi tutto svanisce, il sole risplende, il cielo azzurro sorride amichevole, ma il viandante si fa il segno della croce e ripensa con un brivido al segreto che ora giace sepolto in fondo alla valle.
Così come la leggenda racconta l’inizio della valanga comincia spesso anche un intero destino umano. (pp. 109-111)