L’anima e il suo destino 8

mancu.jpgSe vi è un Creatore che è assoluta perfezione, ed è Bene e Amore, e se questo Creatore (personale) crea il mondo dotandolo di una logica intrinseca di tipo impersonale (che Mancuso chiama Principio Ordinatore), finalizzata ad un accrescimento dell’ordine e ad un’armonia generale, non si capisce donde venga il disordine. E anzitutto che senso abbia un Principio Ordinatore cieco. Se i mali e le sofferenze e i disordini delle creature derivano non direttamente da Dio (che Mancuso vuol salvare come personale, buono e giusto) ma dalla cecità del Principio, occorre dire che il Dio che affida la realtà a siffatto Principio è non meno responsabile del Principio stesso, anzi di più, perché quello essendo impersonale e cieco non può essere chiamato a rispondere di nulla. E poi, come la cecità può accompagnarsi alla promozione dell’ordine? La cecità è chiaramente una forma di disordine, e dal disordine – metafisicamente parlando – non può nascere l’ordine. Sostenere che il Principio cieco è condizione della nostra libertà significa secondo me partire da una visione antropomorfica di Dio. Per cui un rapporto diretto di Dio con le creature le priverebbe di libertà. E infatti in Mancuso non è assolutamente chiaro che cosa sia libertà. Essa non può che avere origine in Dio. Infatti la tradizione ebraico-cristiana vede in Dio anzitutto il liberatore. E Dio libera perché è libertà. Questa esperienza fondativa della libertà, nella mia interpretazione derivata dall’antropologia generativa, si radica nella scena originaria dell’ominizzazione, quando i proto-umani si sono sciolti dalle catene del pecking-order e hanno rischiato, nel momento dell’abbandono della condizione animale, la distruzione della specie per violenza intraspecifica incontrollabile, e ne sono usciti con l’emissione del primo segno. Quello che l’antropologia generativa chiama The-Name-Of-God. È allora, col differimento della violenza mediante l’emissione del segno, che gli umani sono divenuti tali, sperimentando la liberazione dalle catene naturali insieme come estremo pericolo è come libertà. Ma se Dio è (anche) libertà, teologicamente parlando deve conoscere la non-libertà. Come ha mostrato Pareyson. La Bibbia testimonia l’aspetto del Dio vivente (nelle cui mani è terribile cadere) non riducibile alle attese dell’intelletto filosofico .
Mancuso vede bene la situazione, ma non scende mai alla dimensione genuinamente antropologica della genesi dell’ordine dal sangue, proprio perché non riesce a fondare lo specifico umano:

Si tratta di un’armonia che talora si ottiene a spese del sangue degli innocenti, che scaturisce dalla lotta senza scrupoli per la sopravvivenza, che si costruisce su infinite e casuali disarmonie. (p. 121)

E sembra confondere l’umano e l’animale. Così che l’agnello sgozzato da un lupo pare avere lo stesso significato della vittima sacrificata agli dèi, poiché Mancuso sorvola sulla specificità dell’ordine umano.

La legge della morte e della risurrezione è inscritta nella stessa logica della natura (e per questo il Nuovo Testamento conosce, oltre il Cristo cosmico principio della creazione, anche l’Agnello sgozzato dalla fondazione del mondo). (ibidem)

In fondo, coloro che negano la possibilità che il Dio personale sia direttamente responsabile di questo mondo si ergono a giudici di Dio, a partire dalla loro umana idea di bontà e di giustizia. Se fossero stati loro al posto di Dio, il mondo l’avrebbero fatto più bello e buono, e senza tutte queste prede e tutti questi predatori assassini.

Ma per quanto nutrito del sangue, a cominciare da quello degli animali di cui ogni giorno ci nutriamo e nutriamo i nostri figli, del processo cosmico nel suo insieme si deve pur sempre parlare come di un’armonia, dotata di finalità e tale da produrre un progressivo incremento dell’ordine. È lo stesso processo della evoluzione a imporlo alla mente. Certo, se si ritiene che a capo di questo organismo che si muove anche a spese dei deboli e degli innocenti vi sia il Dio personale, che sia lui a disporre ogni cosa e a decidere chi deve vivere e chi invece morire, il mondo nel suo complesso risulta moralmente inaccettabile e diventa comprensibile la posizione di chi preferisce non vedere altro che il caso, piuttosto che questo Dio arbitrario e sanguinario. Se fosse il Dio personale a guidare questo mondo, io starei con l’ateo Ivan Karamazov quando diceva al fratello credente Aljòsa di voler rifiutare questo mondo creato e governato da Dio. (ibidem)

Molto più accettabile, per Mancuso, che il Dio personale trascendente affidi il mondo ad un Principio Ordinatore impersonale cieco. È chiaro che questo Dio ozioso e lontano non può essere amato da me, anche perché è del tutto evidente che la mia esistenza personale particolare gli è del tutto indifferente. Altrimenti dovrei pensare che dalla sua eternità il Dio personale contempli le esistenze contingenti che sono nel tempo come mero spettatore dell’azione del Principio cui ha affidato la creazione. E come le rivelazioni storiche possano essere compatibili con questa idea di Dio è un mistero.

4 pensieri su “L’anima e il suo destino 8

  1. Egregio Prof. Brotto,
    sono molto, molto vicino alle considerazioni da Lei proposte in questo intervento. Io credo tuttavia che sarebbe meglio non dire niente su “Dio”. Semplicemente, così come siamo “atei” nei confronti delle religioni pagane, dovremmo diventarlo (pena la catastrofe) nei confronti di tutte le religioni attualmente presenti sul nostro pianeta. Tutto questo ragionare su “Dio” non ci conviene a noi umani, perché porta, inevitabilmente e inesorabilmente, alla divisione, al contrasto, alla violenza.

  2. Ciò che porta gli umani al contrasto è il loro essere umani. Che si nomini o non si nomini Dio. Personalmente, ritengo che il nome di Dio sia l’unico che vale la pena di pronunciare, ora e per l’eternità. Purché lo si conosca.

  3. Leggo solo ora, e mi scuso se rispondo, di conseguenza, tardi. Ma spero, caro Brotto, che Lei risponda ugualmente. “Purché lo si conosca”: non crede sia un’affermazione un po’ forte? Conoscere “Dio” non è la stessa cosa che crederci. In breve, Lei come concilia fede e conoscenza?
    Scopro le carte: penso che tutto ciò che Girard e gli studiosi del pensiero mimetico hanno detto e vanno dicendo riguardo ai meccanismi del desiderio e della violenza sia, alla lettera, vero. E che la verità della vittima sia una conoscenza assoluta. Ma la conoscenza mi dice anche che Darwin e la Sintesi moderna hanno ragione: l’universo, la vita e i suoi meccanismi non hanno alcun bisogno di un creatore per funzionare. E dov’è lo spazio di Dio allora? Nel Paracleto? Nel momento unico dell’ “Elì,Elì lamà sabactani”? E sia: ognuno di noi ha bisogno del vero Difensore, del vero Avvocato. Ma la conoscenza m’impone di chiedere il perché di tutto questo universo, mondo, vita (piante,animali,uomini) a Dio. Già, il perché. Non conosco nessun teologo capace di conciliare veramente Conoscenza e Dio. E per questo, se Girard, il mio Girard (che ho studiato a fondo, su cui mi sono laureato dieci anni or sono) abbraccia l’ortodossia cattolica non posso seguirlo. Io penso, e concludo, che se Gesù fosse oggi tra noi, sarebbe necessariamente, ateo. O, perlomeno, non pronuncerebbe il nome di Dio invano. Infatti, a chi potrebbe dare Ragione? A quale Religione? A quale Dio? All’Ecumenismo?

  4. Quel “lo” non è riferito a Dio, ma al Suo nome. Che nessun umano conosce, ma solo Dio. V’era una certa ironia nell’espressione, che tuttavia è serissima. La mia idea è che “Dio” è sempre paradossale, costitutivamente, come lo è anche, umanamente, l’umano. Definire questo, infatti, non è più facile che definire “Dio”. E questo benché “Dio” sia pensato come infinito, e l’umano come finito. Ma la difficoltà del pensare l’umano sta nel fatto che è esso stesso che si pensa.

    Come concilio fede e conoscenza? Non le concilio, per me stanno in una tensione permanente. Pensano di poterle conciliare i teo-filosofi come Mancuso, che però approdano inevitabilmente alla metafisica tradizionale, riveduta e corretta ma sempre quella. Ma potrebbero conciliarsi solo in un mondo già nella sostanza conciliato, ovvero tessuto dall’ordine, come è quello pensato da Mancuso. Il mondo, tuttavia, non è affatto conciliatio.

    La fede non è nelle mani dell’umano che pensa di averla o non averla: è la fede ad avere o non avere l’umano. E questo è un dato dell’ortodossia: la fede è virtù teologale, che significa che gli umani non ne possono disporre. Possono conseguire, con la volontà, le virtù cardinali, non quelle teologali.
    E certo nessun teologo può conciliare conoscenza umana e Dio. Altrimenti non sarebbe Dio. E il deus philosophorum appunto soddisfa forse l’intelletto di alcuni, ma non è una risposta alle tragedie del mondo.

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