Papi

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Nella mia vita due Patriarchi di Venezia che sarebbero diventati papi.
Nel 1958, nella chiesa di S.Giacomo dell’Orio, ho ricevuto la cresima da Angelo Roncalli, che sarebbe divenuto Giovanni XXIII. Ricordo la mia felicità di bambino alla notizia dell’elezione.

Nel 1971, in patriarcato, udienza da Albino Luciani, cui, insieme al presidente della FUCI veneziana, andavo a chiedere di firmare un documento di condanna della strage che fu la prima guerra mondiale, un documento che diceva che il 4 novembre non doveva essere considerata una festa. Era un uomo pauroso, sempre timoroso di errare, poco portato alla discussione e non lo sentivamo un padre. Ci chiedevamo come potesse essere stato nominato patriarca di Venezia, capo di una diocesi piena di fermenti intellettuali e politici, in cui i cattolici erano all’avanguardia (Vladimiro Dorigo, cattolico veneziano, era stato uno dei padri nobili del centro-sinistra). In quell’occasione fu chiuso e brusco. Ci disse, peraltro, a sostegno della sua idea dell’assoluto obbligo di obbedienza dei fedeli al papa, che prima della “Humanae vitae” egli era stato personalmente favorevole all’uso della pillola anticoncezionale, ma una volta pronunciatosi il papa, il suo pensiero era cambiato, perché “Roma locuta, causa finita”.

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Ricordo lo shock violento che mi colse quando, nel 1978, al termine del conclave, vidi in televisione, (ero per strada, passavo davanti ad un negozio di televisori) apparire la sua figura vestita da papa. Fra poco sarà santo. Avrò il privilegio di poter dire di essermi scontrato con un santo. Quell’incontro con lui, e ciò che avvenne negli anni successivi a Venezia, mi hanno convinto che nella Chiesa cattolica non può esistere, a causa della sua strutturazione gerarchica e del modo in cui è intesa, ciò che molti teologi hanno tematizzato: una pubblica opinione critica.

6 pensieri su “Papi

  1. …non si può considerare critica la chiesa, purtroppo. Si tratta di fede, va accettata ad occhi chiusi. Posso credere in Dio, posso conoscere la Bibbia, ma se non accetto i dettami di chi guida la chiesa, non sarò mai una cristiana cattolica. Non so perchè, ma un’istituzione che non accetta critiche mi spaventa.

    Monica

  2. Che la fede debba essere accetta ad occhi chiusi non è in effetti un dato biblico. Non è nemmeno tematizzato dal magistero ecclesiastico. “Fides quaerens intellectum” è espressione di un famoso padre della Chiesa.

  3. il caso della Humanae vitae è davvero emblematico. Ed è stato ben poco analizzato, rispetto alla sua importanza. Lo stesso Paolo VI riconosce che la commissione tecnico-teologica da lui incaricata era giunta a conclusioni differenti rispetto a quella che fu una “sua” personale decisione. Come credente, ma anche come pensante, e come medico, non potevo non vedere che la scelta di Montini avrebbe avuto conseguenze. A mio parere, le considerazioni di carattere etico, e se vogliamo sociologico, sulle conseguenze della scissione tra sessualità come ricerca del piacere, e genitalità come apertura alla vita, sono materia sulla quale un leader religioso ha diritto di esprimersi. Ma anche il dovere di accettare il contraddittorio. La visione apodittica, quasi manichea di Paolo VI, lascia oltretutto enormi aree grigie anche se si esamina solo l’aspetto morale. Lo sposalizio tra anziani, il sesso dopo la menopausa, la “castità” matrimoniale, il caso di patologie trasmissibili, i rapporti con l’adozione….non mi sembra siano argomenti affrontati in modo adeguato.
    Ma ben più grave è la decisione di annullare, alla luce del giudizio etico-morale sulla inscindibilità tra sesso e procreazione, qualsiasi valenza alla oggettiva realtà fisico-biologica. La proibizione della contraccezione tout court senza distinguere tra i vari metodi a disposizione è un errore. Un errore e basta. Non è scientificamente corretto mettere sullo stesso piano l’uso del preservativo o della pillola, che impediscono il contatto tra i gameti, o la formazione del gamete femminile, e la “spirale” che impedisce l’annidamento di un ovulo fecondato. Ma di questo aspetto non è mai stato possibile parlare, nemmeno all’interno delle associazioni mediche cattoliche (che sia per quello che in Italia l’associazione medici cattolici è piccola povera e di nessun peso? ). Ebbi modo di parlarne con il cardinal Biffi, che, quasi dandomi ragione, si riparò dietro non meglio specificate “esigenze pastorali”. E parliamo di Biffi, forse la mente più geniale espressa dalla Chiesa Italiana nel dopoguerra.

  4. La morale sessuale cattolica è un ginepraio. Basta pensare alla “casta unione” degli sposi: sembra quasi che nella Chiesa abbia trionfato una sorta di platonismo. Da un lato la condanna di ogni sorta di piacere, dall’altro la volontà di controllo (di cui il sacramento della confessione è stato per secoli strumento).

  5. Davvero un ginepraio. Un bravo cattolico dovrebbe unirsi al coniuge castamente; e astenersi da qualsiasi azione “voluttuosa e voluttuaria” sia dentro che fuori del matrimonio. Astinenza, quindi? Non sempre basta, poichè anche il semplice desiderio (“chi di voi desidera…ha già commesso adulterio”) è fonte di peccato (“in pensieri, parole, opere e omissioni”). Tutto un sistema che poteva reggersi solo su ignoranza sottomissione confessione finzione… E accettando uno iato notevole tra teoria e prassi, tra dottrina e pastorale, tra precetti e coscienza individuale. Eh già, …la coscienza…giudice ultimo e supremo delle nostre azioni… Ma (cito sempre il mio Biffi) la coscienza è “una gran puttana”.

  6. Aggiungiamoci il tema della masturbazione, che qualsiasi trattato di psicologia dell’età evolutiva presenta come attività normale nell’adolescenza, mentre per la Chiesa è peccato (e la materia sessuale è sempre grave): sicché il modello è quello del ragazzino-santo-eroe, e il clima nei seminari è quello che è, coi risultati che stanno sotto gli occhi di tutti.
    Io poi riguardo alla “coscienza puttana” aggiungerei che l’interpretazione dei testi sacri può essere una puttana ben peggiore.

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