Libri di testo

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Infuria la questione dei libri di testo, come ad ogni fine agosto. Ma è solo e sempre la questione dei rincari. Vado a rileggermi un pezzo che ho scritto qualche anno fa: la sostanza mi pare ancora valida.

Quali tra le vostre studentesse si sottraggono alla moda imperante, che vuole calzoni dalla vita bassa e magliette corte, sì che il fondoschiena si dispieghi nudo ampiamente ad ogni lieve chinarsi? Andrebbero premiate per anticonformismo, se la loro fosse una libera scelta. Le reni nude delle allieve e i loro ombelichi ostentati (magari con un piccolo piercing) mi sembrano un emblema dell’epoca. Anche della scuola, dove la coperta è corta.

Sto pensando a quanto anche gli insegnanti, negli ultimi quarant’anni, abbiano seguito la moda. Le mode. A quanto ne siano stati schiavi. L’entusiasmo per lo strutturalismo, che ha prodotto tanti libri scolastici illeggibili, insostenibili, meccanici e aridi, in cui i testi (Testualità! Testualità!) sono stati sezionati, massacrati, uccisi, annientati, col risultato di allontanare generazioni dalla lettura. Il democraticismo post-sessantottesco, con le sue follie, le sue illusioni egualitarie, per cui il docente pesa tanto quanto il discente, in tutto, compresa la sfera della conoscenza: anzi forse pesa di più (mi ricordo certe sparate maraglianesche, e l’abominevole Berlinguer proclamante che in tanti settori gli allievi ne sanno più degli insegnanti, che il giardinaggio vale quanto il greco, la fiera delle assurdità riverite e incensate). Il culto del dio informatico, per cui la fiera legione degli insegnanti di matematica si è data al computer Moloch come a colui che tutto risolve: e infatti oggi gli studenti masticano la matematica in modo incomparabile, non sapendo fare una semplice divisione se non con la macchinetta. Moda imperante. Ma la Moda, lo si sa, tende a dialogare con la Morte. Dove c’è solo Moda, c’è la morte dell’intelligenza.

Ed ecco che compare un rappresentante di una Casa Editrice Scolastica. Già, doveva pur cominciare, è il primo giorno di febbraio. Inizia la grande migrazione. Arriveranno a decine, i tavoli delle sale insegnanti si riempiranno di cataloghi e depliant, riccamente illustrati. Business is business. Quando mi vedono, i rappresentanti mi identificano subito: è quello che non vuol mai vedere niente, che se ne frega delle novità.

– Anche quest’anno lei non vuole prendere in considerazione le nostre proposte, vero?

– No, grazie.

– Avremmo una nuova letteratura latina con foto stupende.

– No, grazie.

– Avremmo però una storia della letteratura italiana in venti fascicoli con ventiquattro CD rom. Se la sceglie e la adotta, la Casa in più le offre una bottiglia di acqua minerale

– Gasata?

– No, naturale.

– Allora non mi interessa.

– Avremmo una serie di Classici con DVD e ologrammi di sesta generazione, per cui Cicerone appare materializzato vicino alla cattedra…

– È costosa?

– Per gli studenti no. L’insegnante deve versare cento euro per ogni ologramma. Però può farlo a rate. Tenga conto che l’insegnamento cambia da così a così.

– Grazie, ma sto ancora pagando le rate del computer e quelle dell’auto (usata).

– Professore, permette una domanda.

– Ma sì.

– Ma lei non sente il bisogno di rinnovarsi?

– No. Sono un insegnante metafisico. Penso che la verità sia una ed eterna. I libri sono come le opinioni degli insipienti, che vanno e vengono. Se ne può fare a meno. Lo sa che per due anni ho provato a fare a meno dell’antologia? Facevo comprare i libri (non scolastici) in edizione economica, facevo fotocopie di brani di mia libera scelta. Le famiglie risparmiavano soldi. Gli allievi prendevano appunti delle mie spiegazioni. Un po’ come all’Università di una volta. È andata benissimo, solo che mi stancavo molto, e non prendevo una palanca in più. Vorrei un’antologia della letteratura italiana fatta solo di brani, senza schemi, introduzioni e commenti, tantissimi brani tra cui poter scegliere. Idealmente dovrebbe contenere tutto. Se la tecnologia nella scuola fosse reale e non puramente ideologica, e gli studenti avessero un computer su ogni banco, allora il gioco sarebbe fatto. Ogni insegnante si ritaglierebbe la sua antologia, e anche i discenti si muoverebbero con più libertà, potrebbero addirittura diventare discepoli. Ma è un sogno. I soldi non ci sono. E poiché esaminare molto bene un testo nuovo prima di adottarlo porta via molte ore – che non sono riconosciute e pagate – e sottrae tempo alla mia realizzazione spirituale, anzi l’ostacola, e la mia realizzazione spirituale è fondamentale per gli allievi, perché su di essi ridonda – può un cieco essere guida di ciechi? – io da anni non esamino, né mai più esaminerò un testo scolastico. A me interessa che gli allievi maneggino libri veri, non quelle assurdità che vaccinano per sempre contro la bibliofilia.

2 pensieri su “Libri di testo

  1. Gentile professor Brotto,

    il suo discorso mi pare condivisibile. Immagino che lei sappia perfettamente, dato che avrà osservato i suoi colleghi, che le richieste che giungono alle case editrici da parte dei docenti vanno in senso del tutto opposto a quanto da lei auspicato (e praticato, cosa che è più importante): apparati, apparati, apparati; didattica, didattica e ancora didattica (e soluzioni della didattica).
    La sua idea di un’antologia fatta solo di testi sarebbe il sogno di ogni casa editrice, perché apparati e didattica costano (in soldi e fatica), a realizzarli. E anche cercare e comprare immagini e foto.
    La fatica è necessaria all’atto dell’insegnamento e se non se l’accollano (o non se la vogliono accollare) certi docenti, qualcun altro dovrà muoversi al loro posto (gli autori e i collaboratori delle case editrici, che preparano apparati e didattica). (Badi bene che non sto parlando di senso del dovere o spirito di sacrificio [le case editrici sono semplici imprese]: è più un fenomeno naturale, come un sistema di vasi comunicanti.) Solo che il conto non torna, ovviamente, perché *chi* fatica conta molto più di quanto si fatica; e il ruolo del docente non può essere delegato all’editore.
    Il mio professore di lettere al liceo si comportava come lei: fotocopie, una marea di fotocopie; appunti, appunti e ancora appunti; e due studenti che a ogni lezione “verbalizzavano” quanto da lui spiegato (prendevano cioè appunti che poi, dopo essere stati corretti dal professore, e se di livello accettabile, sarebbero stati distribuiti alla classe – inutile dire che la correzione del “verbale” costituiva occasione *costante* di valutazione delle capacità di sintesi, scrittura ecc.). Però, come dice lei, quel professore si stancava e non guadagnava un centesimo (una lira, a quel tempo) in più.
    Questo per dire che la richiesta di vedersi la vita (l’insegnamento) semplificata viene dagli stessi docenti (quanto meno dalla maggioranza di essi), che evidentemente fanno un semplice calcolo costi-benefici. Lo stesso calcolo fanno gli editori, che adeguano l’offerta alla domanda. Ma come fare, allora, per rompere questo circolo vizioso? Dovrebbe forse agire il terzo personaggio di questo dramma, lo Stato (quale ente che si preoccupa dell’istruzione pubblica)?

    PS Posso usare i tag corsivo e grassetto nei commenti?

  2. Sono portato a pensare che la situazione della scuola italiana sia senza via d’uscita. Tra l’altro, ancora qualche anno e la totalità dei docenti sarà costituita da donne. E questo è un sintomo grave: ciascuno lo giudichi come crede.
    Non credo che gli apparati critici e la massa di note semplifichi la vita ai docenti. Gli allievi le note non le leggono, a meno che non si tratti di traduzioni, come succede in latino. In ogni caso, ormai la scuola rigurgita di ignoranti in cattedra e nelle stanze dirigenziali. Sia fatta la volontà di Allah.

    Per i tags penso di sì, anche se non mi sono mai posto il problema: faccia una prova.

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