Del male

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Alcuni affermano che il male sia il nulla. Fanno perfettamente coincidere il nulla e il male. Il male è invece, io penso, nella riduzione dell’umano a cosa (strumento, ecc.), che come tale si può annientare, o ridurre a nulla. Ma il nulla in sé non è male, e neppure bene. Se il nulla in sé fosse male, avrebbe in sé una determinazione che lo renderebbe un non-nulla. Inoltre rischierebbe di essere nel male, cioè di essere male, tutto ciò che non è ancora, insieme a tutto ciò che non è più. Ma sia il bene che il male appartengono al piano dell’essere. Noi vediamo l’essere come bene, e come male il divenire nulla di ciò che ora è. Il male colora di sé ciò che trascina verso il nulla, ed è propriamente in questo trascinare. Noi diciamo di un atto che è male in questo preciso senso. Possiamo dirlo però solo in quanto il male sia. Non potremmo dire: questo è nulla. Ma, d’altro canto, non possiamo vedere come male il passare nel nulla di entità che generano sofferenza e morte: e ad esempio l’annientamento dei parassiti che portano a morte lo vediamo come bene. Vediamo cioè il bene nella nientificazione di ciò che nientificherebbe. In una relazione, quindi. E molti sofferenti hanno giudicato bene supremo l’annientamento di sé.

Un’assoluta relativizzazione del male e del bene implica, ovviamente, un assoggettamento totale alla forza. Sarà il prevalere del numero e della forza a determinare di volta in volta quel che è bene e quel che è male. Da tremila anni (e forse più) l’umanità non riesce ad uscire da questo dilemma.

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