Leggo in Vere presenze di George Steiner (1989), pubblicato in Italia da Garzanti nel 1992 nella traduzione di C.Béguin:
C’è un giorno particolare nella storia occidentale che non viene menzionato né dalla tradizione storica, né dal mito, né dalla Sacra Scrittura. È un sabato. Ed è diventato il più lungo dei giorni. Sappiamo di quel Venerdì Santo che il cristianesimo ritiene sia stato quello della Crocefissione. Ma anche il non cristiano, l’ateo, lo conosce: conosce l’ingiustizia, la sofferenza interminabile, lo spreco, l’enigma brutale della fine, che rappresentano una parte così vasta non soltanto della condizione umana, ma della trama quotidiana delle nostre vite individuali.
Conosciamo ineluttabilmente la sofferenza, la sconfitta dell’amore, la solitudine che formano la nostra storia e il nostro destino personale. Sappiamo anche cosa sia la domenica. Per il cristiano, questo giorno significa un presagio, a un tempo sicuro e precario, evidente e oltre il nostro intendimento, della resurrezione, di una giustizia e di un amore che hanno vinto la morte. Se siamo non-cristiani o non-credenti, conosciamo la domenica in termini esattamente analoghi. La concepiamo come il giorno della liberazione dall’inumanità e dalla schiavitù. Speriamo in soluzioni, siano esse terapeutiche o politiche, sociali o messianiche. I lineamenti di quella domenica portano il nome della speranza (non c’è parola meno decostruibile).
Ma a noi spetta il lungo viaggio del sabato. Tra la sofferenza, la solitudine, lo spreco indicibile da una parte, e il sogno di liberazione, di rinascita dall’altra. Messe a confronto con la tortura di un bambino, con la morte dell’amore che è il venerdì, persino le più grandi espressioni artistiche e poetiche sono quasi impotenti. Nell’utopia della domenica è probabile che le manifestazioni estetiche non abbiano più giustificazioni logiche né necessità di essere. Nella coreografia dell’immaginazione metafisica, nell’opera poetica e nella musica che ci parlano della sofferenza e della speranza, della carne che sa di cenere e dello spirito che ha gusto di fuoco, la nostra percezione ansiosa e le nostre raffigurazioni sono sempre ‘sabbatiane’. Sono sorte da quell’immensità di attesa che spetta all’uomo. Senza di loro, come potremmo essere pazienti?*
L’ha ribloggato su Brotture.