Dopo la lettura della poderosa opera di Piero Boitani Il grande racconto di Ulisse (Il Mulino 2016), un libro che segue le innumerevoli piste percorse dalle varie reincarnazioni e mutazioni della figura dell’Itacese nel corso di tremila anni, anche attraverso un apparato iconografico di straordinaria ricchezza, che cosa mi resta? Molto, moltissimo, ma soprattutto la convinzione che il tradizionale modo di opporre le due figure di Abramo e Ulisse come simboli dell’apertura all’infinito (Abramo) e della volontà di ritorno a casa (Ulisse) sia fuorviante ed eccessivamente semplificatorio. Ulisse, a differenza da Abramo, non ha un’unica identità: è insieme l’eroe che rinuncia all’immortalità per fare rientro nella domestica e caduca intimità di Itaca, e l’anziano che abbandona nuovamente l’isola per sete di conoscenza insaziabile, che lo proietta verso l’estremo Occidente, oltre le barriere della morte.
