L’idea di giustizia

C’è molta saggezza nelle pagine de L’idea di giustizia di Amartya Sen (The Idea of Justice, 2009, trad. it. di L. Vanni, Mondadori 2010). Un vero trattato, che si distende per 444 pagine (note comprese), confrontandosi col pensiero economico, giuridico e filosofico di oggi e di migliaia di anni fa. Se fondamentale nel testo di Sen è il dibattito con le tesi di John Rawls (cui è dedicato), non meno importante è l’ispirazione che l’autore trae da opere antiche come il Bhagavad Gītā, da figure come l’antico re maurya Aśoka, o il più recente moghul Akbar. La sostanza di tutta la vastissima argomentazione di Sen sta nella differenza tra un’idea astratta ed una concreta di giustizia, tra una rigorosa nītī e una elastica nyanya , cioè tra una giustizia fondata su un modello ideale-trascendente, come è ancora in Rawls e nel suo contrattualismo, ed una giustizia attenta alle situazioni reali, e più interessata al superamento dei mali presenti che alla realizzazione di un ordinamento perfetto. Continua a leggere

Vecchio pensiero

Lo ripenso. La debolezza del pensiero attuale si verifica anche in questo, nella sua assoluta incapacità di porre la relazione tra arte (letteratura in primis) e giustizia. Poiché l’artista moderno è fondamentalmente un apostata, un rinunciatario o un velleitario servo delle emozioni (ovvero della parte bassa dell’umano), egli si pensa come uno scuotitore della società, un ribelle o un anarca, mai come uno che debba rappresentare la giustizia come virtù dell’anima. Etica ed arte sono scisse concettualmente da secoli, e coincidono talvolta solo per accidens. Ma questo non può che accadere necessariamente, nel momento in cui il sistema culturale di riferimento si intende come fluido, mutevole, incostante, ed è diffusa universalmente la convinzione dell’arbitrarietà, convenzionalità e relatività delle tavole dei valori. Il valore etico di un comportamento e di un’azione può essere misurato solo in rapporto ad una legge intesa come assoluta (in quanto libera dal flusso caotico degli eventi e delle passioni), da cui le norme positive attingono forza. Nel momento in cui quell’assolutezza diviene impensabile, allora restano solo le pretese della singolarità, le brame del soggetto, e infine il mero prevalere della forza. Come si vede nell’Italia contemporanea.