Eschilo è associato a Leopardi in una scienza del tragico disperatamente metafisica, quella di Carlo Michelstaedter, che ai due (e ad altri) fa dire la stessa cosa, nella prefazione a La persuasione e la rettorica: “… lo dissero Eschilo e Sofocle e Simonide, e agli Italiani lo proclamò Petrarca trionfalmente, lo ripeté con dolore Leopardi…” Nel Dialogo della salute si leggono questi versi:
Niente da aspettare
niente da temere
niente da chiedere – e tutto dare
non andare
ma permanere.-
Non c’è premio – non c’è posa.
La vita è tutta una dura cosa.
Michelstaedter li glossa: “Lo intendi? La via non è più via poiché le vie e i modi sono l’eterno fluire delle cose che sono e non sono” [c. mio].
Emanuele Severino, nel suo Il nulla e la poesia, associa strettamente, contrapponendoli, Eschilo e Leopardi. Il primo, sul quale l’autore ha scritto una sua precedente opera, Il giogo, “… per la prima volta nella storia dell’Occidente, pensa in modo esplicito che la verità è il rimedio del dolore“. Leopardi, di contro, “è il primo pensatore dell’età della tecnica e insieme il pensatore del compimento di questa età. Non solo pensa per la prima volta in modo esplicito … che la ‘verità’ non può essere il rimedio del ‘dolore’, ma pensa la condizione dell’uomo quale dovrà apparire al compimento del tentativo di porre la scienza e la tecnica come rimedio del ‘dolore’,”. Il fuoco, immagine dell’annientante divenire, unisce la scena iniziale dell’Agamennone a quella della Ginestra, dove il magma incandescente e l’indurata lava sono, secondo Severino, figure del nulla. Ma le costellazioni divine del kosmos di Eschilo, la cui contemplazione trasferisce nell’uomo l’ordine della pace, sono nel moderno Leopardi gli ammassi globulari di un universo insensato e dannato all’annientamento, e non però da una potenza trascendente cui l’uomo possa attribuire un nome. E mentre “per l’intera tradizione filosofica il rimedio contro l’angoscia dell’annientamento degli essenti è la conoscenza vera (immutabile) dell’Essere immutabile ed eterno”, Severino sostiene che “per la prima volta nella cultura occidentale, il pensiero di Leopardi afferma consapevolmente, da un lato, che il divenire degli essenti (il loro uscire dal nulla e ritornarvi) implica necessariamente l’inesistenza di ogni Essere immutabile ed eterno; e, dall’altro, che il rimedio contro l’angoscia provocata dalla visione del nulla è l’intensità di questa visione”.