Ma ecco che, per via della tecnica spartana di suonare il flauto, mi viene in mente anche quel flauto per assemblee che tramandano desse il tono e procurasse il ritmo a Gaio Gracco quando arringava il popolo. Ma non è affatto così, come si dice comunemente, che solesse suonare il flauto uno che stava dietro di lui mentre egli parlava e con melodie varie ora addolcisse il suo animo e la sua azione oratoria ora ne accrescesse la tensione. Che cosa infatti sarebbe più inopportuno di questa cosa, se un flautista sonasse ritmi e melodie e dei ritornelli variati a un Gracco che parla in assemblea così come ad un attore danzante in una pantomima? Ma coloro che hanno trasmesso alla memoria questa cosa con più cognizione dei fatti, dicono che fra le persone presenti lì intorno stesse ben nascosto un flautista, che con una siringa corta emetteva, con discrezione, un suono alquanto grave per reprimere e placare gli slanci della sua voce quando si facevano troppo caldi; e infatti, io penso, non si deve credere che quella ben nota e naturale foga oratoria di Gracco avesse bisogno di un impulso e di una eccitazione esterna. Tuttavia Marco Cicerone pensa che Gracco si valesse di questo suonatore di siringa per l’uno e per l’altro scopo, perché ora con suoni pacati ora con suoni concitati o rianimasse il tono del suo discorso sommesso e languente o ponesse un freno alla sua eloquenza impetuosa e violenta.
Aulo Gellio, Le notti attiche I, XII, 10-15, trad. di F. Cavazza, Zanichelli 1985