La vergogna nasce dal senso della propria insufficienza rispetto a quello che il gruppo di appartenenza richiede all’individuo. Perché si dia vergogna, occorre che questa insufficienza si palesi, perciò spesso la vergogna coincide con uno smascheramento. E’ risaputo, poi, che colpa e vergogna non sono la stessa cosa, e si è parlato di intere civiltà basate sull’una o sull’altra, anche se esse interagiscono spesso tra loro e si intrecciano in nodi gordiani.
Oggi accade che, in un clima di populismo variamente colorato, le televisioni della mia regione organizzino televoti e pseudosondaggi su argomenti del tipo “pensate che gli stipendi dei consiglieri regionali veneti siano giusti?”, ricevendo dai telespettatori ovviamente una massa di risposte indignate. Quasi tutte le risposte contengono espressioni come “vergognatevi!”; “si vergognino!”; “vergogna!”; “vergognève!” (veneto per “vergognatevi”). Donde emerge un concetto arcaico, per così dire, delle prassi umane. Infatti, noi attualmente viviamo in Occidente una fase storica in cui il soggetto non dovrebbe vergognarsi di nulla che lo riguardi come tale. Nè delle proprie idee, né del modo in cui campa la vita, né della sua religione o credenza, né delle sue superstizioni, né delle sue propensioni e pulsioni, né di fare da vecchio ciò che sarebbe proprio dei giovani, ecc. ecc. No limits. Ma dove non c’è limite, non c’è neppure vergogna. La vergogna, poi, si può avere solo quando la maggioranza del gruppo di appartenenza si dimostra sufficiente rispetto a quanto è richiesto. Dove pochi rubano, essere sorpresi a rubare darà luogo a vergogna. Dove tutti rubano, la vergogna è radicalmente impossibile. Tra i nomadi Rom, l’inabilità al furto può dar luogo nel soggetto inabile ad un senso di vergogna. Dove, data la possibilità, tutti evaderebbero le tasse, l’evasore scoperto non si vergognerà dell’evasione, ma della propria insufficiente abilità nell’evasione. Per questo, l’urlo che scaturisce dalle profonde viscere della gente veneta è insensato, è una sopravvivenza del passato remoto, e non ha alcun fondamento. Potrebbe però rivelare una scarsa fiducia nella classe politica e nelle istituzioni.

Evidentemente la nostra non è una società della vergogna ( come, ad esempio, le società arabo-islamiche dove è importante non “perdere la faccia” e il Super-Io è, per dir così, nello sguardo del vicino e il controllo della comunità – per cui, se ad esempio bevi vino, che è haram-proibito, senza che nessuno ti ). La nostra è più una società della colpa, il che presuppone la preminenza dell’individuo e non del gruppo o della comunità, e dunque quell’invenzione tipicamente occidentale e cristiana che si chiama “coscienza”, e della quale oggi sembra restare molto poco – anche a causa, suppongo, degli equivoci tipici della coscienza individuale, della cattiva educazione e delle condizioni demagogiche oggi esistenti per la costituzione di una coscienza libera e responsabile.
Errata corrige. Evidentemente la nostra non è una società della vergogna ( come, ad esempio, le società arabo-islamiche dove è importante non “perdere la faccia” e il Super-Io è, per dir così, nello sguardo del vicino e il controllo della comunità – per cui, se ad esempio bevi vino, che è haram-proibito, senza che nessuno ti veda, la cosa è come se non fosse mai avvenuta). …
Da noi il senso di colpa è venuto meno prima ancora della vergogna. Ora non c’è nessuno dei due.
la psicologia non è così semplice, mio caro Fabio…
Evidentemente sono un sempliciotto.
assolutamente no!
solo non voglio credere a ciò che affermi nel tuo commento qui sopra: che non esiste più senso di colpa e vergogna.
sarebbe come catalogare l’intera umanità nel tuo contesto di pensiero, e condannarla, in un certo senso…
ho letto il tuo ciclo di conferenze “il sacro, la violenza e la letteratura ” e lo trovo estremamente interessante.