Di Eros Barone
Caio: ciao, Mevio, ci rivediamo dopo qualche tempo in cui non abbiamo più avuto l’occasione di parlare dello stato del Bel Paese. Che ne diresti di fare il punto della situazione, esaminando lo stato della politica?
Mevio: carissimo Caio, dal momento che, come è giusto, mi provochi a dire la mia opinione, ti rispondo a questo proposito che, se le cose andassero tanto bene quanto vanno male, andrebbero benissimo…Caio: ohibò, Mevio, cònstato che il tuo pessimismo si è ancor più aggravato. Davvero nella politica di questo paese non sono ravvisabili, a tuo giudizio, aspetti che ségnino un’inversione di tendenza rispetto alla deriva di questi ultimi due anni? Provo a indicare alcuni nomi come simboli di speranza: un Bersani, un Di Pietro, un Fini?
Mevio: senti, Caio, tu sai che sono solito usare nelle mie analisi e nelle mie valutazioni il metodo e la concezione messi a punto dal filosofo di Trèviri. Orbene, basandomi su di essi, ti rispondo così: c’era una volta un paese governato da una precisa classe sociale, la borghesia italiana, che utilizzava un apparato politico di buon livello professionale. In tal modo, la Dc e il Psi avevano costituito per alcuni decenni quello che, con la formula di Marx, si può definire un «comitato di affari della borghesia». Questo ‘comitato’ si è poi trasformato, col passare degli anni, in un vero e proprio ‘partito degli affari’, che comprendeva nel suo àmbito grandi e medie imprese interessate a finanziare questo o quel partito, questa o quella corrente politica per assicurarsene servigi e favori…
Caio: però, Mevio, dopo Tangentopoli, con il berlusconismo e il leghismo questo assetto è in larga parte saltato…
Mevio: esattamente! Ma ciò è accaduto per la semplice ragione che una frazione della borghesia italiana, attraverso il berlusconismo e il leghismo, si è resa autonoma dal resto della classe dirigente e governa direttamente la cosa pubblica. Naturalmente, si tratta di una borghesia anomala (potremmo definirla, per analogia con il sottoproletariato, classe con la quale condivide numerosi tratti comportamentali, una ‘sottoborghesia’), diversa e talora avversa rispetto alle grandi famiglie storiche della borghesia italiana. Questa ‘sottoborghesia’ ha ottenuto l’appoggio di quella media e piccola impresa che innerva gran parte dell’economia manifatturiera italiana e che vuole avere la mano libera contro i lavoratori, siano essi autòctoni o immigrati.
Caio: capisco dove vuoi arrivare… in sostanza, tu affermi che un determinato involucro istituzionale (quello che viene solitamente indicato con l’espressione di ‘prima Repubblica’) si è rotto e il personale politico cui ci troviamo di fronte, non avendo più da adempiere, per conto del capitalismo, il mandato della gestione degli affari generali, si occupa ormai soltanto di gestire gli affari propri: contenziosi giudiziari, posti nei consigli di amministrazione, incarichi, prebende, sinecure, amanti…
Mevio: è il berlusconismo che ha diffuso nella vita pubblica italiana questo ‘combinato disposto’ di personalizzazione della politica e di politicizzazione del personale, e lo ha reso talmente strutturale da farne il comun denominatore di quello che può essere definito il ‘monopartitismo imperfetto’ del Bel Paese: una simbiosi mutualistica fra un governo autoritario e millantatore e un’opposizione mimetica e subalterna.
Caio: difficile darti torto, specialmente se penso alle pagliacciate di chi occupa la scena politica dal 1994 e in quindici anni di potere non ha realizzato nessuna delle ‘riforme’ tanto sbandierate, mentre ha impinguato la propria corte e un ceto sociale composto di evasori, faccendieri, speculatori, nani, imbonitori e ballerine.
Mevio: pensa, ad esempio, al ministro Brunetta e alle provocazioni clownesche con cui porta avanti la sua unica vera attività, che non è la riforma della pubblica amministrazione ma la criminalizzazione dell’impiegato pubblico. Un personaggio che appartiene alla categoria di quei socialisti che per esistere hanno bisogno del pellegrinaggio sulla tomba di Craxi, al cospetto del quale non erano nemmeno ammessi quando questo leader esercitava il suo potere.
Caio: e che cosa bisognerebbe pensare allora, caro Mevio, di un ministro degli esteri talmente umbratile da non produrre alcuna notizia di rilievo sulla propria attività, ma che sul proprio sito web mette in bella mostra le foto private delle sue vacanze in Alaska, che lo ritraggono impegnato sulle piste da sci?
Mevio: l’elenco, ottimo Caio, potrebbe poi continuare con un ministro fuori posto come Mariastella Gelmini, la cui unica ‘raison d’être’ è il taglio della spesa statale nel settore dell’istruzione pubblica (e il correlativo aumento della medesima nel settore dell’istruzione privata), nonché con il grottesco corteo dei ministri inutili: dalla Carfagna a Rotondi, da Calderoli a Bossi, dalla giovane Meloni a Vito.
Caio: una schiera di parassiti, indubbiamente. Non credi, tuttavia, che i nomi che ho citato prima (Bersani, Di Pietro, Fini) possano rappresentare, in una certa misura, un segnale, se non di una radicale alternativa, perlomeno di una gestione dello Stato un po’ più decorosa e corretta?
Mevio: non lo credo, perché il problema non sta solo a destra, ma anche a sinistra. Non vi è infatti città o regione governata dal Pd e dal centrosinistra in cui non si siano verificate situazioni analoghe o peggiori. Il caso Marrazzo, il caso Delbono, le malefatte liguri e pugliesi rivelano la fragilità e l’insipienza di un intero gruppo dirigente.
Caio: finirò con l’associarmi anch’io al tuo nero pessimismo, se considero che gli schizzi di fango provenienti da un simile pantano non risparmiano nemmeno quella sinistra cosiddetta ‘radicale’ che si è suicidata politicamente accodandosi al carro di governo del Pd e, così agendo, non è riuscita nemmeno a tenere le mani pulite.
Mevio: se contiamo anche l’Udc di Cuffaro, è veramente uno spettacolo vergognoso, superfetazione di un paese profondamente corrotto sia in senso politico che in senso semplicemente umano, dominato, come è, dalla logica del mercato capitalistico: ossia da un ‘mix’ di cattiveria, imbecillità ed egoismo. Da questa ‘discesa agl’Ìnferi’ sembrano salvarsi solo Di Pietro e il suo partito (cosa, questa, che ne spiega il successo elettorale), benché i limiti della politica ‘sottoborghese’ non risparmino neppure il dipietrismo: dalle logiche di potere a qualche schizzo di fango, da una leadership autocratica ad una linea priva di respiro strategico.
Caio: a dire il vero, trovo ora, riepilogando le nostre considerazioni, che non si salva neanche la stampa, la cui unica funzione sembra essere diventata quella di specchio e amplificatore della degenerazione dominante. Da Feltri, che prima spara a zero sul direttore di un altro giornale e poi, senza pagare dazio, riconosce pubblicamente di avere sbagliato, a “Libero” che svolge opera di sicario politico al servizio dei suoi proprietari, dal “Corriere della Sera”, che fa battere la grancassa del più rozzo liberismo a corifei come Ostellino, Della Loggia o Panebianco, al Tg1 dell’àscaro Minzolini, quello che si vede è un ‘paesaggio con rovine miste a serpenti e rifiuti’. Forse è anche per questa ragione che tendo a sopravvalutare ogni sia pur minimo segno di controtendenza.
Mevio: l’unica controtendenza, caro Caio, è costituita dal proletariato… quando è in grado di svolgere un ruolo antagonista, quando è diretto da un partito di classe, quando allarga gli spazi di democrazia e, dunque, anche quelli di una stampa libera, quando trova come alleata una gioventù che si ribella a questo stato di cose. Sennonché osservo con tristezza che anche il proletariato del Bel Paese sembra essere diventato, eccettuate alcune valorose e oneste minoranze, lo specchio di quella ‘sottoborghesia’ che è oggi al potere.
Caio: [ resta silenzioso ].