Questo me l’ha mandato Eros Barone. Si vede bene che è suo.
Non esiste gesto o atteggiamento umano che Dante, nella “Divina Commedia” (per tacere delle altre opere), non abbia descritto, scolpito, evocato. Come non rendere omaggio, pertanto, anche da parte di uno scrittore così sensibile e intelligente come l’albanese Ismail Kadaré (cfr. il suo magnifico volumetto su «Dante, l’inevitabile», Fandango 2008), all’autore del “poema cui pose mano e cielo e terra” e all’artefice primo della lingua italiana?
E come non ricordare che non vi è esercizio più sano per la mente e per il cuore, nonché per i sensi, della ‘lectura Dantis’? Sì, anche e soprattutto per i sensi, giacché questi organi traggono uno speciale godimento dalla lettura, ancor meglio se ad alta voce, delle terzine dell’Alighieri. Il che è comprovato, fra l’altro, dal costante successo che riscuotono tali letture nel corso del tempo: da Carmelo Bene, passando attraverso Roberto Benigni, sino a Vittorio Sermonti.
Una volta acquisita una sufficiente familiarità con il mondo drammatico, percorso da veementi passioni ma anche da affetti struggenti, di cui Dante è, a volta a volta, testimone, protagonista e cantore, l’icastico realismo delle visioni, intramato dallo splendido linguaggio metaforico e corroborato dall’inesausta magnanimità lessicale del poeta fiorentino, ci fa vivere, grazie alla nitida corrispondenza fra vocabolo ed oggetto in cui esso si traduce, uno dei viaggi più affascinanti e sorprendenti che un uomo dell’età moderna possa compiere.
«I versi di Dante – ha scritto il poeta russo Mandel’štam nel suo «Discorso su Dante» (Il Melangolo 1994), un saggio folgorante in cui viene proposta una lettura cristallografica della “Divina Commedia” – prendono forma e colore attraverso un processo geologico […] il poema dantesco è un solido, un corpo rigidamente stereometrico.»
Anche questa eccezionale testimonianza critica conferma che è vano separare, in Dante, letteratura, storia, filosofia, scienza, teologia e politica, giacché esse costituiscono un blocco unico. La poesia dantesca trae ispirazione da ciascuno di tali elementi e raggiunge il suo vertice attraverso la loro armonica fusione. Secondo il paragone con cui lo stesso Dante adombra il nesso organico fra poesia e ragione, la prima è “la più bella fronda che dalla radice razionale consurga”.
Non vi è civiltà e non vi è cultura in cui Dante non sia stato riconosciuto un sommo poeta e la sua opera un patrimonio della cultura mondiale. Basti citare la traduzione della “Divina Commedia” in lingua cinese e l’ammirazione dei fondatori del socialismo scientifico, Marx ed Engels, per l’Alighieri. Il primo concludeva nel 1867 la prefazione alla prima edizione del “Capitale”, citando in italiano un verso di Dante: «Segui il tuo corso, e lascia dir le genti!»; il secondo, nella prefazione all’edizione italiana del “Manifesto del Partito Comunista”, scritta nel 1893, notava: «Il chiudersi del medioevo feudale, l’aprirsi dell’era capitalista moderna sono contrassegnati da una figura colossale; è quella di un italiano, il Dante, al tempo stesso l’ultimo poeta del medioevo e il primo poeta moderno».
Ogni persona colta del nostro tempo sa che con Dante i conti non sono mai chiusi, perché, come ha ammonito Niccolò Tommaseo, «leggere Dante è dovere, rileggerlo bisogno, sentirlo presagio di grandezza».

Lodevole, come chiunque lodi Dante :-)