In questi mesi si dibatte della scuola: in modo italico, ovvero isterico, ideologico e improduttivo. La scuola è usata soltanto come pretesto per attaccare il nemico, da l’una come dall’altra parte. In un’ottica lungimirante, il sistema scolastico richiederebbe investimenti colossali, altro che Grandi Opere! Su questo non posso dire nulla, è chiaro come il sole che sulla scuola non c’è un discorso culturale serio, da parte di nessuno. Vado dunque a ripescare cose che ho scritto negli anni scorsi. Questa è del 2004.
Il problema più grave della scuola di oggi non è rappresentato dalla carenza di strutture, dall’adeguatezza dei programmi, o dalla bassa retribuzione degli insegnanti. Il problema dei problemi, come debbono riconoscere docenti e genitori cui sia rimasto un barlume di luce intellettuale, è quello della motivazione dei ragazzi allo studio. La quale non c’è, o è molto scarsa, come in altre di queste Croniche ho rilevato. Stamattina, mentre viaggiavo in macchina ante lucem verso le colline della mia caccia, intorno alle 6, su Rai 24 ho ascoltato un’interessante trasmissione sulla scuola (è l’ora giusta, chissà chi l’ascolta). Ad un certo punto parlava pure Vertecchi, il famoso pedagogista, che accusava di ipocrisia la gestione dei debiti scolastici attuata dalle scuole. Un uomo davvero coraggioso. Dal suo pulpito. E per una strana e straniante associazione di idee mi è venuto in mente un passo di Adalbert Stifter, dal romanzo La cartella del mio bisnonno (Die mappe meines Urgroßvaters, trad. it. di S. Puleio, Aktis Editrice, Piombino (Li) 2002).
All’epoca pensavo spesso ad un uomo singolare. Avevo sentito narrare a Praga che meno di cento anni fa viveva in una stradina di Linz, che è la città più vicina al nostro bosco, un uomo chiamato Johannes Kepler, che in forza del suo incarico, come credo, avrebbe dovuto insegnare ai ragazzi ed esercitare l’agrimensura, ma che invece si mise a osservare le stelle in cielo per indagarne i moti; poiché sapeva che si trattava di un numero infinito, straordinario, di grandi corpi celesti. Dato che non possedeva una bottega, non aveva casa, né proprietà o danaro, lo disprezzavano, schernivano i suoi studi e lo sollecitavano ad assolvere al suo dovere. Ma egli restò saldo nel suo proposito. Trascorsero molti anni e scoprì con assoluta precisione e poté descrivere le leggi che regolano i movimenti dei corpi celesti. Con le lacrime agli occhi disse:(pp. 239-240)
— Chi sono io, mio Dio, che hai degnato di poter indagare sul tuo mondo?
Scrisse le leggi su un foglio e le divulgò, e fu di nuovo dileggiato e preso per matto. Vennero i saggi, verificarono le sue ricerche e le confermarono. Poi giunsero i matematici, fecero i loro calcoli su una lavagna con dei disegni e dimostrarono che non poteva essere altrimenti. Lo stupore per l’acutezza di quell’uomo fu grande e il suo genio fu esaltato. Ma era già da tempo sottoterra.
Ora pensavo molto spesso alla sua pazienza e alla sua forza. Il destino viaggia in una carrozza d’oro. Di ciò che viene schiacciato dalle ruote non resta niente. Se cade una roccia su un uomo o un fulmine lo uccide, e non potrà più fare quello che faceva prima, lo farà un altro. Se un popolo viene disperso senza poter conseguire le sue aspirazioni, lo farà un altro e meglio. Quando tutte le correnti dei popoli saranno trascorse, portando con sé elementi indicibili e innumerevoli, ne verranno ancora e ancora di nuovi e nessun mortale può dire quando finiranno. E se hai arrecato un dolore al tuo cuore che ora palpita e si strugge, o si rinfranca e riscuote, non per questo tutto si ferma, ciò che è grande muove comunque verso il suo scopo. Tu invece avresti potuto ostacolarlo, o puoi mutarlo, e sei stato ricompensato; ora ne scaturisce un evento straordinario.
La grande risorsa, la forza e il grande dono degli umani è lo studio appassionato, gratuito e non immediatamente finalizzato ad un utile. Proprio quello studio che nella società italiana contemporanea, accecata dall’immediatezza del profitto e del godimento, trova sempre meno spazio, sempre meno valorizzazione, sempre meno amore. Lo studio, che è l’essenza della vera scuola, è esattamente ciò di cui oggi si parla meno di ogni altra cosa in ogni discorso che riguardi la scuola.
