Filosofia di passione 3

La cultura è a tal punto un’apertura e una realizzazione di potenzialità prima solo latenti a livello naturale che è essa stessa in un certo senso a “spiegare”, e dispiegare, la natura, poiché vi introduce la possibilità inaudita e inedita d’una spiegazione, di qualcuno che abbia in sé la capacità culturale di compierla. Tali considerazioni possono essere adesso solo accennate, ma cercherò di riprenderle lungo tutta questa indagine, in attesa di svilupparle ulteriormente. Risulta abbastanza evidente che esse modificano nella sostanza, e anzi rovesciano, l’impostazione oggi prevalente nel considerare l’origine della cultura. (p. 63)

Come tutti coloro che derivano le loro idee da Girard, anche Fornari comprende con chiarezza che il grande problema di oggi è quello di raggiungere una visione adeguata del rapporto tra natura e cultura. E anche per Fornari il grande tema diventa quello dell’Origine: l’origine della cultura, il distacco dell’umano dal mondo animale. Si tratta esattamente di quel distacco che i “modelli scientistici attualmente predominanti” interpretano come un passaggio evolutivo così lento e graduale da risultare totalmente nebuloso, per non dire nullo. Viene qui in mente, paradigmaticamente, la figura filosofica del sorite, o del calvo: tutti sanno che un capelluto e un calvo sono differenti, e pure che il calvo è stato chiomato. Cadendo un capello alla volta, ci deve essere stato un momento in cui è avvenuto il passaggio tra la condizione di chiomato e quello di calvo, e un solo capello dunque deve aver fatto la differenza. Con un capello in più sei chiomato, con un capello in meno calvo. Ovviamente, la questione non può essere posta in termini analoghi per l’origine dell’umano: fino al momento x c’era animale, dal momento y abbiamo un umano. Il gradualismo assoluto è paradossale. Dunque è opportuno ipotizzare una nascita dell’umanità in termini catastrofici. Girard non si distacca dall’evoluzionismo graduale, e ipotizza centinaia di migliaia di anni di crisi mimetiche dei gruppi preumani per giungere infine all’umano. Ugualmente Fornari. Non così Gans.

Qualsiasi spiegazione della cultura che non contempli, non constati le sue caratteristiche in sé irriducibili non spiega un bel nulla, fornisce al più uno scheletro di esplicazione ancora privo di vita. Perché qualcosa di più verosimile e vivo si introduca nel blocco monolitico dei modelli scientistici attualmente predominanti, bisogna elaborare un modello causale diverso, non solo relazionale e reciproco, vale a dire sistemico, ma anche, in qualche maniera, teleologico, nel senso che i termini del problema si presentano come se intervenisse una finalità, in primo luogo per il motivo che la cultura un mondo di finalità lo introduce (e a questo punto appare difficilmente evitabile chiedersi: lo introduce dal nulla?). (…) il concetto di intenzionalità, debitamente ridefinito e rivisitato, apre nuove prospettive al riguardo, interagendo con sensibilità straordinaria coi concetti di organizzazione sistemica e di doppio vincolo, e con quelli di evoluzione, ominizzazione e cultura. L’impressione, che reputo non infondata, è che per questa via si inauguri un ponte capace di unire una ricerca scientifica ed epistemologica a riflessioni più filosofiche e religiose, che non vengono meno all’autonomia della scienza in quanto la presuppongono e si alimentano dei suoi risultati: mi riferisco, naturalmente, a una scienza abbastanza diversa da quella oggi più in voga, a una scienza filosoficamente avvertita e consapevole della sua storicità, del suo appartenervi e del suo non poterne prescindere. (pp. 63 – 64)

Finalità e intenzionalità sono caratteristiche della mente umana che possono essere comprese pienamente soltanto se riferite alla capacità di rappresentazione che è caratteristica degli umani. La teoria della mente, che manca anche agli animali a noi geneticamente più vicini (e agli umani autistici, come io ben so), implica che io sappia vedere nell’altro umano (o addirittura – errando – nel non-umano) una mente intenzionante come la mia. La riflessione di Fornari su questo punto mi sembra ancora carente, anche se coglie la necessità di approfondire il concetto di intenzionalità. Qui veramente la scienza (psicologia e neurobiologia, come nel caso dell’autismo) e la filosofia e l’antropologia possono camminare affiancate. Ovviamente, voler affermare che l’intenzionalità non può essere un mero aspetto dell’umano perché non può essere stata introdotta dal nulla mi pare un salto argomentativo . La stessa cosa si può affermare di altri elementi, come il linguaggio. E’ chiaro che il dal nulla non è una espressione di cui ci si possa sbarazzare con facilità: c’è dietro un mondo di pensiero e millenni di filosofia. Tuttavia, mi pare che se noi rifiutiamo a priori il dal nulla, non possiamo dar ragione del salto reale che si verifica nel nostro passato ricostruibile, e ci dobbiamo adagiare in un gradualismo evolutivo che fa impantanare il pensiero, rendendogli inaccessibile il novum. (3 – continua)

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