Quando si tratta di Israele, purtroppo, l’intellettuale italiano medio perde ogni capacità di pensiero dialettico. Lo si è visto anche nel recente caso di Torino. Infatti, se si fosse fatto un programma sulla letteratura palestinese, senza invitare gli autori israeliani, ben pochi avrebbero urlato che occorreva invitare anche l’altra parte. È un dato certo, ben inquadrabile e spiegabile entro quella cultura vittimaria che ha trionfato nell’Occidente dopo il 1945. Sono convinto che un antigiudaismo di fondo (evito il termine antisemitismo perché è ormai segnato da una profonda ambiguità) alligni ancora nel cuore di moltissime persone, anche in Italia, anche fra i cattolici. Emerge nelle conversazioni libere, ma anche, seppur più sottilmente, in articoli e libri. Ho udito con le mie orecchie definire “nazisti” gli Israeliani da parte di professori universitari che non si sono mai preoccupati di quel che accadeva ai Cambogiani, ai Curdi, ai Ceceni. Ho sentito adoperare la categoria “Ebreo” in un modo che può essere solo di chi crede ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Nessuno dei fatti che vengono addebitati allo Stato di Israele da parte di chi odia gli Ebrei (anche se non vuole ammetterlo) giustifica, di per sé, un giudizio come quello che viene espresso. Altrimenti, come dovremmo chiamare lo Stato Russo, che qualche hanno fa ha ridotto Grozny ad un ammasso di macerie fumanti? Ed io, che pur non ho condiviso molte delle scelte politico-militari fatte da Israele negli ultimi anni, trovo davvero impressionante l’incapacità di ragionamento e di mediazione che coglie gli spiriti di molti davanti all’Ebreo. E sono spesso persone che parlano di “accoglienza”, del “diverso”, ecc. Ma l’Ebreo viene percepito come forte e amico dei forti (gli Americani), e subito definito come oppressore. Qui anche mi pare evidentissimo come ogni discorso politico sia sempre un discorso che parte da un soggetto collocato in una situazione che determina un suo punto di vista: il più delle volte è irrigidito e adialettico, sempre animato da un risentimento che acceca. È un po’ quello che succede nei cattivi romanzi, dove ci sono i “cattivi” le cui ragioni sono sempre e soltanto ignobili. È sempre il meccanismo del capro espiatorio, di cui l’Ebreo è stato in Occidente l’incarnazione più duratura.
Per caso mi sono imbattuto nel sito della Destra italiana, quella di Storace, la Destra fascista. Ed eccoti una vignetta che mostra tutti i tratti della satira antigiudaica tradizionale, a cominciare dalla fisicità un po’ fastidiosa del barbuto (e puzzolente?) giudeo. Una vignetta che la dice lunga sul sentimento antigiudaico (altro che filopalestinese!) di molti Italiani di oggi. Di troppi Italiani.
