E l’uomo inventò i sapori

sapor

 Un’ottima lettura estiva, questo saggetto di Rosalia Cavalieri E l’uomo inventò i sapori (il Mulino 2014). In verità, non mi convince del tutto il sottotitolo storia naturale del gusto, perché quella del formarsi del gusto umano del cibo, nella visione dell’autrice, è propriamente una storia che parte da una parziale rottura col semplice naturale, rottura che si manifesta nell’acquisizione umana del dominio del fuoco e nello sviluppo della cottura. Semiologa, la Cavalieri utilizza qui i ritrovamenti–e le teorie connesse–della paleoantropologia e di altre scienze per costruire un discorso che ha come focus le tecniche della cottura, e le ricadute che centinaia di migliaia di anni di . consumo di cibi cotti hanno avuto in termini di sviluppo cerebrale e socio-culturale. I cardini della riflessione espressa nel libro appaiono già nelle prime pagine:

«Diversamente dagli animali, che possono distinguere e tutt’al più segnalarsi reciprocamente solo sapori gradevoli e sgradevoli, l’uomo interpreta, valuta, apprezza, scompone e ricompone gli elementi di ogni boccone; e poi ancora confronta, racconta, persuade. Proprio perché non si limita a riconoscere un cibo e a classificarne il sapore come buono o cattivo, l’uomo può accedere a un piacere più alto, un piacere per l’appunto consapevole. Se negli altri animali il desiderio del cibo è generato dalla fame, solo noi umani, come ha osservato Aristotele, possiamo appetire una vivanda non necessariamente per sfamarci, ma perché qualcuno ce ne ha parlato e ci ha persuaso della sua bontà e della sua palatabilità; questo tipo di desiderio indotto dalla persuasione ha un carattere linguistico che presuppone un atto di riflessione, e pertanto è specificamente umano. È poi una nostra prerogativa gustare con attenzione, analizzando le componenti del sapore che via via prendono corpo e si precisano sulle nostre papille, divenendo peraltro memorabili quando le convertiamo in parole. Ciò significa che anche il gustare, come tutte le attività umane, si realizza con il concorso del linguaggio.» (p. 17) «Le parole sono quindi parte integrante dell’atto del gustare: insomma, si apprezza il cibo parlandone.» (p.21)

Questa connessione tra gusto e linguaggio mi sembra convincente. E penso a Guido, il mio figliolo autistico averbale, che mangia un’ampia varietà di cibi rispetto alla media dei suoi confratelli nell’autismo, ma ingurgita ogni cosa masticando pochissimo, incapace di assaporare e di prolungare in qualche modo il piacere. Piacere legato alla parola, che lui non ha.