Pour que tu ne te perdes pas dans le quartier, 2014, trad. it. di I. Babboni, Einaudi 2015. Questo è un Modiano recentissimo, ma come si sa lo scrittore francese mantiene un’assoluta costanza e continuità dei temi di fondo, e qui abbiamo ancora una volta l’eterno Modiano. Qui il protagonista è uno scrittore settantenne, ma cambia poco: c’è, in aggiunta alla solita nebulosità e inconsistenza delle persone l’incombere della vecchiaia e del particolare oblio che porta con sé. Come se l’irrecuperabilità del passato, e delle persone del passato, perno di tutta la narrativa di Modiano, qui subisse una inclinazione verso la solitudine più radicale. Il settantenne ricorda due fasi della sua vita, e così al presente della storia si mescolano due passati. Il primo è quello di lui bambino, affidato ad una giovane donna dalla vita equivoca; il secondo passato è quello di lui giovane scrittore al primo libro, che incontra quella stessa donna, non più così giovane. Vi è poi il presente, in cui quei due passati si parlano vanamente fra loro, mentre la donna è scomparsa dal mondo. Ricerche si sommano a ricerche, tutte vane. Il libro si chiude con un ricordo struggente ma declinato con sobrietà di grandissimo scrittore:
La notte, mentre lei telefona nella camera vicina, lui sente il suono della sua voce ma non le parole. Al mattino lo risvegliano i raggi di sole che attraverso le tende penetrano nella stanza e formano macchie arancioni sulla parete. All’inizio è quasi niente, uno scricchiolio di pneumatici sulla ghiaia, un rumore di motore che si allontana, e ti serve ancora un po’ di tempo per renderti conto che in casa resti solo tu. (p. 123)