The Barren Sacrifice

51KMJ6c9DfL__SX336_BO1,204,203,200_Il sottotitolo di questo eccellente saggio di Paul Dumouchel (comparso in francese da Flammarion nel 2011, pubblicato in versione inglese dalla Michigan University Press nel 2015) è An Essay on Political Violence. Esso tratta dunque di un tema oggi prioritario nel mondo, e mi verrebbe da dire che gli uomini politici dovrebbero leggerlo, perché è davvero illuminante, ma temo che ben pochi tra loro, almeno in Italia, sarebbero in grado di farlo. Purtroppo, i nostri politici sembrano anche del tutto privi dell’attrezzatura concettuale per comprendere il mondo in genere, al di là dei loro interessi di bottega elettorale.
Il libro di Dumouchel affronta il tema della violenza politica indagando le origini storiche dello Stato moderno, in rapporto soprattutto al controllo dei gruppi sociali operato dal potere sovrano e alla necessaria territorialità dello Stato medesimo. Lo Stato appare da un lato coincidente con un territorio, e quindi con confini riconosciuti dagli altri Stati, dall’altro si manifesta come l’unico detentore legittimo della violenza, (che essendo legittima viene chiamata forza). Il discorso diventa particolarmente stimolante e critico quando Dumouchel affronta esplicitamente il sottotesto che percorre l’intera sua argomentazione: la crisi dello Stato contemporaneo nel momento in cui da un lato compare il fenomeno della globalizzazione, dall’altro un attore senza confini come il terrorismo islamico. Quella del nemico interno non è una novità storica, ma la sua declinazione odierna, in cui questo nemico non ha un preciso referente in un altro Stato o in un movimento internazionale riconosciuto e strutturato, appare problematica, e la estrema difficoltà della sua gestione spiega la crisi profonda in cui l’Europa è destinata a sprofondare sempre più. Il terrore islamico è infatti una novità assoluta. E la guerra che gli si muove è un novum assoluto.

Il terrorista islamico ci appare insieme come il più straniero, perché capace della violenza più estrema, e il più simile, perché lui o lei è invisibile, è uguale a qualunque altro o altra: uno sconosciuto tra altri sconosciuti fino al momento della detonazione finale. Questa invisibilità ci angoscia. Noi vorremmo rispedire il “nemico” in un altrove identificabile, conferirgli un visibile essere straniero, come si può vedere dall’ossessione per il velo che, a cominciare dalla Francia, si sta spargendo per l’Europa. La doppiezza dei terroristi trasgredisce l’ordine territoriale. E lo stesso vale per la guerra che noi conduciamo contro di loro. Noi violiamo i confini di paesi con cui abbiamo relazioni amichevoli per bombardare luoghi che si suppongono ospitare terroristi, e scuole in cui essi vengono indottrinati. Questa guerra non bada alla nazionalità degli agenti ed uccide cittadini di nazioni con cui non siamo in conflitto. (p. 175)

The Ambivalence of Scarcity

copThe Ambivalence of Scarcity and Other Essays di Paul Dumouchel (Michigan State University 2014) è una raccolta di saggi scritti in un lungo lasso di tempo, a partire dal 1979. Di estremo interesse ho trovato l’analisi della fondazione storica dell’idea di scarsità dei beni, che regola l’intero impianto dell’economia e delle società occidentali a partire dal Settecento, e che ha immense conseguenze sul piano sociale e politico. Il libro di Dumouchel è molto stimolante dal punto di vista intellettuale, e sollecita un pensiero critico indipendente e libero dai pregiudizi di ogni tipo. Riporto qui le ultime righe dell’ultimo capitolo della Conclusione, intitolato L’autorità morale dello Stato.

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L’individualismo significa anzitutto che noi siamo agenti indipendenti, non legati l’uno all’altro da obbligazioni personali reciproche di solidarietà. In secondo luogo, significa che noi siamo liberi nel senso implicato dalla moralità moderna dell’auto-governo, e quindi possiamo mancare di adempiere agli obblighi morali che ci competono senza patire alcuna sanzione. In terzo luogo, l’individualismo significa che noi siamo eguali, nel senso che deriva dall’aver trasferito allo Stato l’autorità unica di decidere tra violenza buona e violenza cattiva. Di conseguenza, noi siamo eguali in quanto siamo liberi e indipendenti nel modo che è assunto dalla teoria economica. L’individualismo infine implica che la reciprocità riappaia solo al livello dello Stato, al livello in cui è determinato ciò che costituisce violenza legittima. Qui è il luogo in cui l’universalità caratteristica dell’individualismo è chiusa. Al livello dello Stato, dove la reciprocità riappare come una dimensione fondamentale delle regole della solidarietà, le regole della solidarietà diventano applicabili e sono nel contempo esclusive e condizionali. Noi non dobbiamo la stessa solidarietà ai non connazionali che non appartengono allo schema di reciprocità che caratterizza noi come membri di questo o quello Stato. Inoltre, nei contesti internazionali, nelle nostre relazioni con gli stranieri, spesso perfino le obbligazioni morali, come la veridicità e il mantenimento delle promesse, tendono a essere condizionali rispetto alla risposta del beneficiario. Esse richiedono reciprocità, e di conseguenza perdono la libertà e il carattere incondizionato che le rende propriamente morali.
Il monopolio statale della violenza legittima è la fonte da cui discende quello che noi chiamiamo moralità: le libere obbligazioni, la trasgressione delle quali non comporta immediatamente sanzioni, può esistere solo alla sua ombra. L’etica è un prodotto dello Stato moderno, come lo sono i  mercati della economia moderna. Il recente allontanamento dall’obbligazione come categoria morale centrale potrebbe essere visto come liberatorio, ma esso è anche legato ad una naturalizzazione dell’etica, alla sua trasformazione in scienza, cioè a dire in una autorità che si colloca al di fuori della discussione democratica. La profonda trasformazione dello Stato moderno di cui siamo testimoni non è connessa per accidente al presente fallimento dei meccanismi del mercato. I mercati finanziari che sfuggono al controllo dei singoli Stati sono arrivati a dominare l’economia mondiale, ma come recentemente ha notato André Orléan, i mercati finanziari non soddisfano le condizioni necessarie per potersi auto-regolare. Eguaglianza e libertà sono due realizzazioni molto fragili e imperfette dello Stato moderno, che dipende dal violento meccanismo di trasferimento che fonda il suo monopolio della violenza legittima, la sua capacità di distinguere tra la violenza buona e quella cattiva. L’attuale metamorfosi dello Stato moderno minaccia queste conquiste: essa sta anche progressivamente ma chiaramente mutando la nostra relazione con la violenza legittima. Stati modello di virtù democratiche, come il Canada e il Regno Unito, hanno di recente deciso che l’evidenza ottenuta mediante tortura può essere accolta nei processi come legale. Non vi è ragione di credere che ciò costituisca un progresso. (pp. 348-349)