La leggenda del sesto uomo

La leggenda del sesto uomo

Una buona idea narrativa, un risultato decente. L’idea buona di Monika Kristensen, esploratrice polare datasi alla narrativa, ne La leggenda del sesto uomo (Kullungen, 2008, trad. it. di M. V. D’Avino, Iperborea 2013) è questa: un asilo infantile a Longyearbyen nelle isole Svalbard, durante l’inverno artico in cui non sorge il sole, e una miniera di carbone gigantesca e attiva nel cuore della montagna. Dall’asilo sparisce una bambina, e la sua affannosa ricerca si intreccia col vissuto di molte persone, tra cui i suoi genitori, tra le fragilità dei rapporti coniugali e amorosi, il lavoro dei minatori, le attività illecite sul mare gelato, tra orsi bianchi, minatori-bracconieri a caccia di renne e pescatori-contrabbandieri, e le profondità della terra da cui l’inesausta opera umana estrae il carbone pagando un alto prezzo di vite.  L’idea narrativa è buona, ma i numerosi personaggi sono appena abbozzati, e i loro moventi non sono sufficientemente scandagliati. Soprattutto manca l’afflato poetico-tragico, per cui il lettore rimane con l’impressione di una grande occasione mancata.