La strada interrotta (The Broken Road. From the Iron Gates to Mount Athos, 2013, trad. it. di J. M. Colucci, Adelphi 2015). Il terzo libro del viaggio di Fermor si interrompe a metà di una frase. L’autore ormai vecchio e vicino alla morte non riesce a concludere la sua meravigliosa rievocazione di eventi e persone lontani nel tempo. L’immane lavoro dei curatori produce infine un testo che è lontano dallo splendore dei primi due, Tempo di regali e Fra i boschi e l’acqua, ma che riesce ancora a comunicare qualcosa di molto fermoriano.
Non che sia importante, ma è strano come la memoria possa essere tanto evasiva riguardo ai volti e alle scene di questo memorabile incontro e appaia invece così cristallina riguardo a dettagli irrilevanti: per esempio, l’ombra verde della vite all’esterno e, sulle lastre del selciato, il gioco casuale di stelle e diamanti creato dalla luce; e il fatto che poco dopo ci fossimo seduti sotto un enorme platano a parlare delle Fleurs du mal. Solo occasionalmente ci si rende conto della cruciale importanza di un processo appena iniziato: che, cioè, quei particolari dipinti, poemi, generi musicali, libri o idee stanno per cambiare ogni cosa, o magari ci si sta per innamorare o si sta stringendo l’amicizia della vita; sono questi i molti, lunghi fili che, intrecciati assieme, compongono un’esistenza. Ci si aspetterebbe di sentire lo sparo attutito di un segnale di partenza. L’intero viaggio fu punteggiato di questi impercettibili scoppi: aurore velate ed epifanie in abiti borghesi. (p. 57)